Il Bentinck, dopo l’esperienza negativa della prima legislatura, operò un cambiamento di rotta: impose la formazione di un ministero composto da castelnovisti e, memore della sfortunata alleanza con i democratici, cercò di orientare le elezioni in modo che la Camera dei comuni avesse una maggioranza costituzionale. Per prima cosa l’apparato statale fu epurato da democratici e belmontisti, mentre ai posti di comando rimasero i castelnovisti, che, però, rimanevano isolati da tutti i loro possibili alleati e si reggevano esclusivamente con l’appoggio inglese. Le elezioni si svolsero in un clima arroventato e con macroscopiche scorrettezze, che violavano i più elementari principi della legalità costituzionale. Lo stesso lord Bentinck intraprese un viaggio di propaganda elettorale, ventilando persino l’occupazione dell’isola da parte degli Inglesi per legare la Sicilia alla Gran Bretagna.

La Camera dei comuni uscita dalle elezioni fu tutta costituzionale castelnovista, ma rimase completamente isolata nel contesto politico siciliano e assolutamente condizionata dall’appoggio inglese. Quando nell’estate del 1814, in dipendenza degli avvenimenti internazionali, il Bentinck fu costretto a lasciare la Sicilia e fu sostituito dal ministro britannico A’Court, i castelnovisti si trovarono in balia dei loro avversari e cercarono in extremis di avvicinarsi ai belmontisti, e fu proprio il Belmonte che lanciò la proposta di chiedere il ritorno al potere di re Ferdinando; tutti, infatti, cominciavano a rendersi conto che il governo costituzionale si reggeva esclusivamente per l’appoggio inglese, circostanza che non poteva durare all’infinito e che in ogni caso avrebbe avuto termine con la fine della guerra. La proposta fu accolta all’unanimità, anche se con un certo sbigottimento, ed il ministro britannico A’Court espresse la convinzione che i Siciliani fossero troppo divisi per poter accogliere e sostenere un regime di tipo costituzionale, e che paradossalmente essi erano concordi sulla proposta del ritorno del re, perchè democratici e radicali speravano in un ritorno dell’assolutismo illuminato e i nobili nel ripristino di alcune delle loro prerogative.

A festeggiare il ritorno del vecchio sovrano furono soprattutto i democratici, che consideravano l’allontanamento degli Inglesi una vittoria nazionale. La Camera dei pari, in oltraggio al dettato costituzionale, che non consentiva che un ramo del parlamento interferisse nella vita dell’altro, contestò la legittimità delle passate elezioni alla Camera dei comuni ed il re, sorretto dall’opinione pubblica, colse al volo l’occasione per sciogliere il parlamento ed indire nuove elezioni.