Il prodittatore Mordini, insediatosi dopo le dimissioni di Depretis, si dedicò a dare alla Sicilia un migliore assetto economico e sociale non avendo oppositori tra i suoi collaboratori.

foto di mordini

Dopo le dimissioni di Depretis si insediò in Sicilia il nuovo prodittatore Antonio Mordini, che era stato già ministro in Toscana insieme al Guerrazzi ed era di indirizzo radicale. Prima del suo arrivo un gruppo di aristocratici liberali annessionisti avevano progettato di dare vita ad un governo provvisorio, ma l’arrivo del Mordini e la nomina da parte di Garibaldi dei nuovi segretari di stato, scelti tra gli oppositori alla politica del Cavour, sconvolse i loro piani e fece temere un ritardo dell’annessione con il pericolo dell’unione con Napoli.

Mentre i liberali e gli aristocratici siciliani premevano a Torino presso Vittorio Emanuele per una immediata annessione, Garibaldi cercava di ritardarla nella speranza di conquistare anche lo Stato Pontificio, allargando, così, l’area delle annessioni. In attesa dell’apertura del parlamento, prevista per il 2 ottobre, Garibaldi dette a Mordini con decreto pieni poteri manifestando nel contempo l’intendimento di tenere amministrativamente separate la Sicilia e Napoli, anche se unite nello Stato italiano, e fissò per il 21 ottobre la convocazione dei collegi elettorali per l’elezione in tutti i comuni dell’isola dei rispettivi deputati. Convocò, inoltre, per il 4 novembre l’assemblea dei rappresentanti del popolo, che avrebbe deciso le modalità dell’annessione, evitando, così, che essa avvenisse sic et simpliciter.
Il Mordini, che era politicamente in perfetta sintonia con Garibaldi, potè interamente dedicarsi a dare all’isola un migliore assetto economico e sociale non avendo oppositori tra i suoi collaboratori, dal momento che i nuovi segretari di Stato erano anch’essi di indirizzo radicale e segretario generale del governo era un altro radicale, Angelo Bargoni, che aveva sostituito il Crispi recatosi a Napoli con il Depretis. All’atto dell’assunzione della prodittatura da parte del Mordini erano stati allontanati dalla Sicilia il La farina ed il Cordova, fautori dell’annessione immediata.

La politica del Mordini fu ispirata alla conciliazione ed al risanamento,come si evidenzia dai provvedimenti adottati. Egli provvide a riassettare l’organico della burocrazia di stato ed a mandare avanti il progetto della costruzione delle ferrovie, già avviato dal governo borbonico, e quando il 25 settembre un decreto di Garibaldi ne affidò l’appalto all’impresa Adami e Lemmi di Livorno, egli istituì una commissione di vigilanza sui modi di esecuzione dell’opera e sull’economia della spesa.

Un provvedimento molto opportuno fu l’assunzione da parte dello Stato dei debiti dei comuni dell’isola, che apriva la via all’abolizione dei dazi di consumo, che tanto pesavano sui meno abbienti.

Particolari pure furono dedicate all’istruzione pubblica con la fondazione di nuovi istituti ed il miglioramento di quelli esistenti. Per reperire le somme necessarie a tale scopo fu effettuata la vendita all’incanto di tutti i beni e rendite del demanio pubblico e degli enti governativi.

L’indirizzo radicale del governo dette un posto primario all’obiettivo dell’affrancamento dei contadini dai vincoli feudali e della distribuzione delle terre. Riguardo a quest’ultimo punto prevalse il parere della borghesia in difesa della grossa proprietà privata e le terre distribuite furono quelle degli enti ecclesiastici. Facendo riferimento ad decreto borbonico del 1838 riguardante la censuazione di tutti i beni ecclesiastici, furono sorteggiate quote di una o due salme (la salma è una misura di superficie equivalente a ) con divieto di cumulo dei lotti e controlli accurati per scoprire l’eventuale presenza di prestanomi. In realtà solo una piccola frazione andò realmente ai contadini, mentre la maggior parte finì nelle mani della borghesia, che con l’aiuto della mafia riusci’ ad impadronirsi illegalmente di centinaia di quote. La liquidazione dell’asse ecclesiastico suscitò le proteste della Chiesa, che pure aveva favorito il trionfo della rivoluzione.

Un fatto che rinfocolò i contrasti politici fu la notizia del decreto emanato l’8 ottobre dal prodittatore di Napoli, Pallavicino, che fissava al 21 ottobre il plebiscito per l’annessione di Napoli al Piemonte. Parve ai Siciliani che la convocazione dell’Assemblea in Sicilia fosse un modo per allontanare la data del plebiscito e le polemiche suscitate dai liberali crearono serie difficoltà al Mordini, che, con il consenso di Garibaldi, fissò anch’egli il plebiscito per il 21 ottobre, invece delle elezioni dei deputati,in accoglimento delle pressioni degli annessionisti.
Nel contempo il Mordini, accogliendo la proposta dello storico Michele Amari, uno dei più accesi sostenitori dell’annessione, istituì un Consiglio di Stato straordinario, composto di 36 elementi esponenti di tutti i partiti e di tutte le tendenze, con funzioni consultive per formulare proposte su quali ordini e istituzioni fosse opportuno puntare perchè fossero salvaguardati i bisogni peculiari della Sicilia in sintonia con gli interessi dell’unità della nazione italiana. I componenti del Consiglio, nominati per decreto, furono in maggioranza esponenti degli annessionisti, mentre pochi erano gli esponenti dell’opposizione e del tutto assenti i mazziniani. Il Mordini dava, così, un’altra prova del suo spirito conciliativo, diretta ad accogliere le istanze di chi temeva l’accentramento amministrativo, cosi’ come aveva accolto le istanze di contadini e borghesia in occasione della censuazione dei beni ecclesiastici.

Il 21 ottobre 1860 il plebiscito si espresse a larga maggioranza per l’annessione (432.053 voti favorevoli, 667 contrari) con una percentuale di voti favorevoli del 99,5&37;; una rappresentanza qualificata di Siciliani, presieduta dal can. Gregorio Ugdulena con vicepresidenti Mariano Stabile ed Emerico Amari, dopo avere attentamente studiato "gli ordini e le istituzioni" della Sicilia, presentò al Mordini una relazione in cui si chiedeva per la Sicilia un’amministrazione separata per tutto ciò che non fosse di interesse nazionale.

Il voto del plebiscito non fu, però, autentica espressione della volonta’ dei Siciliani, perchè solo pochi erano veramente informati sul significato del plebiscito, mentre la maggior parte pensava che si trattasse di ratificare l’operato di Garibaldi o, comunque, essendo analfabeti, si lasciarono strumentalizzare dai funzionari che presiedevano i seggi elettorali. Grande fu la disillusione quando, subito dopo il risultato del plebiscito, si comprese che il potere passava da Garibaldi a Cavour e che la Sicilia era annessa al Piemonte senza ricevere alcuna forma di autonomia. Per contrasto si rafforzò il sentimento autonomista e l’avversione al Piemonte, che aveva in un certo senso ingannato i Siciliani