Vittorio Amedeo di Savoia e la moglie, Anna d’Orleans, sbarcarono a Palermo il 10 ottobre 1713 per prendere possesso del regno di Sicilia e l’incoronazione del nuovo re avvenne il 24 dicembre nella cattedrale di Palermo con una solenne cerimonia, ultimo retaggio della fastosità del cerimoniale spagnolo.

Statua a Roma dedicata al re Vittorio Emanuele II

Il papa, rivendicando i suoi diritti sul trono di Sicilia, che era feudo della S. Sede, non riconobbe l’investitura di Vittorio Amedeo e sorse un’accesa polemica tra i sostenitori del privilegio papale e quelli della patrimonialità del titolo di re di Sicilia, mentre rimaneva del tutto in ombra l’aspetto ben più significativo e legittimo dell’indipendenza politica dell’isola.

Alcuni vescovi, tra cui quelli di Catania e Girgenti (Agrigento), posero l’interdetto alle loro diocesi, mentre il papa Clemente XI abolì con una bolla pontificia del 1715 la Legatia Apostolica ed il Tribunale della monarchia, considerati privilegi del sovrano di Sicilia lesivi dei diritti della Chiesa di Roma, e contemporaneamente comminò scomuniche che spaccarono la società siciliana. In risposta Vittorio Amedeo fece dichiarare nulle da una "giunta" appositamente costituita le bolle e le scomuniche pontificie.

L’abolizione della Legatia Apostolica, di cui la Sicilia godeva dai tempi dei Normanni (circa 600 anni) e di cui andava orgogliosa, esasperò i Siciliani, distogliendoli dalla fedeltà al nuovo regime e avvicinandoli alla chiesa. Con l’interdetto i sudditi erano sciolti dall’obbligo di fedeltà al re e, mentre molti ecclesiastici sfidavano apertamente il re, l’esercizio del culto si fermò quasi del tutto.

Vittorio Amedeo alla fine del 1714 lasciò la Sicilia per governarla attraverso un consiglio speciale con sede a Torino, mentre nell’isola rimase come vicerè il conte Annibale Maffei.