Federico raggiunse la maggiore età nel 1208 e assunse la conduzione del regno in un momento assai difficile, perchè da un lato i baroni germanici, dall’altro il pontefice tentavano di esautorare e strumentalizzare il giovane sovrano.

Federico II di Svevia

La dominazione sveva in Sicilia sotto il regno di Federico II

A ciò si aggiungevano il dilagare dei contrasti tra cristiani e musulmani, le precarie condizioni economiche del regno, il progressivo sgretolamento delle strutture statali.

Federico II, quando era ancora minorenne, aveva sposato per procura Costanza d’Aragona, che gli aveva portato in dote, fra l’altro, un consistente contingente di soldati spagnoli a sostegno del suo potere.

La situazione in Germania era particolarmente difficile, perchè, nonostante il pontefice, superando la sua iniziale contrarietà, di fronte all’incalzare delle circostanze avesse consentito a fare eleggere Federico imperatore, gli oppositori erano assai agguerriti e miravano a togliergli anche il regno di Sicilia.

Federico II dimorò otto anni in Germania e lasciò in Sicilia, in qualità di reggente, la moglie Costanza d’Aragona, collaborata dal cancelliere Gualtieri di Pelear. La sede del governo in quegli anni fu posta a Messina, da dove Costanza governò fronteggiando una situazione di perenne lotta tra le fazioni senza lasciarvisi coinvolgere, difendendo la superiore autorità della monarchia sulle forze particolaristiche.

Federico II tornò in Italia nel 1220 e il 22 novembre venne incoronato imperatore in San Pietro da Onorio III. Il suo ritorno destò gravi timori tra coloro che avevano usurpato beni della corona, anche perchè un segnale inquietante era giunto dalla vicenda del conte Raniero di Manente, che, andato in Germania a rendere omaggio all’imperatore, era stato imprigionato e costretto a restituire i beni usurpati.

Il programma politico di Federico II era quello della restaurazione dell’impero universale e, per attuarlo, doveva consolidare la sua posizione nei confronti di tre grandi forze: i baroni del regno di Sicilia, la Chiesa, i Comuni italiani.

In Sicilia le forze avverse alla monarchia avevano, in sua assenza, accumulato beni, giurisdizioni e privilegi, impoverendo il paese, ma i particolarismi avevano disperso le energie ed evitato che nascesse una resistenza organizzata. La condizione del regno era, però, di grande impoverimento economico e di disordine, sul quale avrebbe potuto avere buon gioco il pontefice per restaurare la sua autorità sulle popolazioni del sud.

Un primo passo verso la restaurazione dell’autorità regia fu fatto intervenendo per porre fine alla endemica conflittualità con le componenti etniche saracene, fomentata dai baroni tedeschi, che spesso aveva dato vita a rivolte e, comunque, rendeva più fragile una situazione già precaria.

I Musulmani si concentravano, soprattutto, in una zona interna della Sicilia, nella cosiddetta "Marca dei saraceni", dove il loro capo, Marabit, agiva da sovrano indipendente. Nel 1225, con l’aiuto dei baroni siciliani, Federico II prese per fame i suoi oppositori bruciando sistematicamente i raccolti.

Una seconda rivolta scoppiò nel 1243 negli ultimi anni del regno di Federico II e questa volta non soltanto egli sconfisse i Musulmani, ma nei loro confronti usò il metodo del trasferimento in massa, deportandoli dalla Sicilia a Lucera, in Puglia, dove si dice siano stati concentrati circa 16.000 Musulmani.

Un altro passo verso la restaurazione del potere regio fu fatto con la promulgazione nel 1220, a Capua, di venti capitoli delle Constitutiones regni Siciliae altrimenti dette "Costituzioni di Melfi", "Liber augustalis" o " Assise". Con le disposizioni contenute in questi capitoli si intendeva restaurare le prerogative della corona esistenti sotto Guglielmo II e rivedere, per abrogarli, i privilegi e le concessioni feudali illegalmente ottenuti negli ultimi trent’anni.

Egli ordinò la distruzione, e comunque la confisca, di tutti i castelli fortificati costruiti dopo il 1189, sostenendo che la costruzione di fortezze era una prerogativa regia anche nelle terre baronali, e sottopose ad autorizzazione del sovrano il restauro di castelli edificati prima di tale data.

Furono abrogati molti privilegi illegalmente ottenuti da laici ed ecclesiastici negli ultimi trent’anni e, comunque, diritti e privilegi furono riveduti e limitati.

Federico II si comportò in Sicilia come un sovrano assoluto, assumendo i titoli di Cesare ed Augusto e coniando monete, le augustales, che ricopiavano quelle dell’antica Roma.

Queste misure non devono far pensare ad una politica di smantellamento del sistema feudale. Il sovrano intendeva soltanto avere l’assoluto controllo dei feudatari, largheggiando a suo piacimento di privilegi e di immunità nei loro confronti, laici o ecclesiastici che fossero, in modo che, insieme ad un apparato burocratico strettamente dipendente dal sovrano, essi garantissero la stabilità del sistema. Privilegi ed immunità erano, dunque, distribuiti in maniera tale da essere funzionali al consolidamento del potere regio.

L’autoritarismo di Federico II si manifestò anche in disposizioni che interferivano nella vita privata dei sudditi: obbligò i cittadini a tornare a casa prima del suono della terza campana della sera, proibì il gioco d’azzardo, obbligò le prostitute a vivere fuori dalle mura della città, obbligò gli ebrei ad indossare un costume distintivo.