La politica imperiale di Federico II, che aveva come obiettivo la guerra contro i Comuni lombardi, per riportarli sotto la soggezione dell’impero, determinava l’esigenza di grosse risorse finanziarie, che egli doveva attingere dai beni della corona e dal gettito fiscale.
La forte politica economica e fiscale di Federico II durante la dominazione in Sicilia
Federico II aggiunse a quelle istituite dai suoi predecessori nuove tasse e gabelle sui redditi fondiari ed inasprì il regime dei dazi, dei monopoli e delle imposte su importazioni ed esportazioni.
Il gettito fiscale era enorme, ma se ne avvantaggiava soltanto il tesoro regio, mentre le condizioni economiche del regno erano assai precarie, e, dall’altra parte, Federico II mirava a consolidare non soltanto la sua posizione di re, ma soprattutto quella di imperatore.
La conseguenza di queste scelte politiche estranee agli interessi del Mezzogiorno fu un’organizzazione economica indiscriminatamente subordinata agli interessi dell’erario e della corona, fatto che determinò una depressione che pose un’ipoteca sul futuro dell’isola.
Tutte le miniere e i minerali della Sicilia furono dichiarati monopolio della corona. Le saline di Trapani, che con le esportazioni avevano rappresentato un fattore di grande sviluppo per la Sicilia, sottoposte al monopolio reale, videro sestuplicare il prezzo del sale.
Anche l’agricoltura, dove il grano era al primo posto e dove Federico II introdusse validi metodi di irrigazione sfruttando conoscenze e tecnologie di notevole livello, ricevette delle direttive rigorose. Ferro, acciaio, cotone, canapa, seta, grano potevano essere venduti solo da agenti reali, tranne qualche rara eccezione.