Nell’ottobre del 1555 Carlo V abdicò e divise i suoi stati tra il figlio Filippo II (Milano, Napoli, Sicilia, Sardegna, Paesi Bassi, Franca Contea, colonie americane) ed il fratello Ferdinando I (domini ereditari austriaci, Germania, corona imperiale).
La Sicilia in questi anni vide un radicale cambiamento della politica viceregia, dal momento che il rigoroso Vega fu sostituito nel 1557 dal tollerante Juan de la Cerda, duca di Medinaceli, che rimase in carica fino al 1565. Egli adottò una linea "debole" nei confronti del banditismo, che sotto di lui imperversò in Sicilia in misura impressionante, sia nelle città che nelle campagne. Il banditismo siciliano aveva caratteristiche del tutto particolari. Esso era, innanzitutto, alimentato anche dalla componente spagnola, rappresentata dai soldati di stanza in Sicilia, che, oltre a dar luogo a frequenti ammutinamenti, spesso abbandonavano la vita dura dell’esercito per associarsi alla criminalità organizzata.
Inoltre il banditismo non era un fenomeno esclusivamente rurale, ma aveva radici profonde anche nelle città, dove taglieggiava e ricattava su vasta scala; esso disponeva della solidarietà della grande e piccola nobiltà, e persino del clero, circostanza che gli metteva a disposizione una rete di rifugi sicuri, naturali e non, e cavalli per effettuare spostamenti con estrema facilità. Assistiamo, così, al sorgere di una "pirateria terrestre" con una fitta trama di relazioni città-campagna, che aveva nei rapimenti a scopo di estorsione, nell’abigeato, nei taglieggiamenti le sue principali attività.
Nelle città la grande criminalità controllava e dominava la criminalità minore, espletando, per così dire, funzioni di polizia, e non era raro vedere, anche in città grandi come Palermo, Catania, Messina, Agrigento, Trapani, agli angoli delle strade principali, bravi in livrea che sorvegliavano la sicurezza di palazzi nobiliari e monasteri, che in cambio offrivano asilo ai ricercati e rifugio per la ricettazione di quanto estorto o rubato. La politica permissiva del Medinaceli, la lentezza dei procedimenti giudiziari e la frequenza del patteggiamento, l’amnistia del 1559 produssero effetti disastrosi, alimentando lo sviluppo della criminalità organizzata.
Un altro problema esplosivo di quegli anni, che presentava un collegamento con quello del banditismo, era il pauperismo, che una serie di cattive annate agrarie (eccezionalmente cattivo fu il decennio 1549-’59) aveva alimentato e a cui le città non erano in grado di far fronte, perchè la loro crescita impressionante aveva reso le tradizionali strutture di assistenza inadeguate a sostenere l’impatto della campagna affamata. Il vicerè Vega aveva tentato di affrontare il problema puntando sulla collaborazione in termini caritativi di laici ed ecclesiastici con l‘istituzione nel 1555 dell’Oficio de la carità.
Il Medinaceli, sostenitore dell’ideologia francescana, favorì l’istituzione di "monti di pieta’" e di "hospitià" (il più prestigioso fu quello di Trapani), che dessero assistenza ed asilo ai poveri, ma, nonostante ciò, i "vagabondi" erano numerosi e l’aggravarsi della povertà nelle campagne portò all’irrigidimento del giàdifficile rapporto città-campagna: città e baroni avevano identico interesse a legare i poveri alla terra, ed essi, respinti dalla città e vessati dai baroni, non esitavano, spesso a confluire nelle file del banditismo.
Nel settembre del 1560 il popolo di Palermo, aizzato dal notaio Cataldo Tarsino, si sollevò e mise a sacco alcune case patrizie; motivo scatenante fu la decisione del senato di Palermo, a causa della carestia, di diminuire il peso del pane in vendita in città. La rivolta fu domata e i capi giustiziati. Intanto in Sicilia si effettuavano significativi cambiamenti nel settore agricolo con il passaggio dalla grande alla piccola enfiteusi (affitto perpetuo con obbligo di miglioria), processo che avrà la sua massima intensità tra il 1580 ed il 1620. Esso era conseguenza della crescita del prezzo del grano e della frequenza delle cattive annate. Il proprietario preferiva scaricare sull’enfiteuta l’alea delle cattive annate e godere di una rendita sicura. Questo estendersi e frazionarsi dell’enfiteusi contribuì a legare ancora di più il contadino alla terra, aumentando la sua dipendenza dal concedente. Il contesto in cui si svolgeva il fenomeno era, comunque, diverso da quello che in epoca successiva farà nascere l’ideologia della piccola enfiteusi contadina.