Il Moncada era riuscito a costituire in Sicilia attorno alla sua persona un blocco di potere nobiliare, che si opponeva ai consigli municipali ed ai ceti medio-bassi, costringendoli a sottostare alle sue decisioni.

A questo modello di governo si opponeva quello instaurato a Napoli da Ramon de Cardona, conte di Collesano, il quale era fautore di un solido blocco di potere costituito da nobiltà e magistratura, ma rispettoso delle vocazioni autonomistiche, che costituivano il terreno su cui superare lo scontro delle fazioni. Parallelamente, all’Inquisizione spagnola opponeva l’Inquisizione romana, nella quale era rappresentato l’alto clero.

Nel gennaio del 1516 morì Ferdinando il Cattolico (1479-1516) e con lui si estinse la dinastia castigliano-aragonese. Gli successe il nipote Carlo d’Asburgo (1516-1554), correggente con la madre Giovanna, (figlia di Carlo V), detta la Pazza, perchè totalmente inferma di mente.

Il Moncada con la morte del sovrano decadde dalla carica di vicerè, che venne assunta dal maestro giustiziere, che in questo caso era il vicerè di Napoli, cioè Ramon de Cardona, che ritornò, così, in Sicilia. Egli vi dispiegò una frenetica attività mirata a realizzare un fronte compatto da contrapporre al blocco costituito dal Moncada e dai suoi sostenitori. Il Cardona ottenne l’appoggio di aristocratici prestigiosi: i Ventimiglia, marchesi di Geraci; i Santapau, marchesi di Licodia; gli Abbatelli, conti di Cammarata; i Filingeri, conti di S. Marco; il barone di Ciminna; i signori di Castelvetrano, di Racalmuto, di Militello, di Motta. Egli convocò a Palermo un "libero consiglio", che elesse un ambasciatore, al quale dette l’incarico di esporre alla regina Giovanna ed al principe ereditario la situazione dell’isola. Contemporaneamente si scatenò a Palermo un attacco contro l’Inquisizione spagnola, che aveva il suo quartier generale nel palazzo reale. L’inquisitore Cervera fu costretto a lasciare la città e così pure il Moncada, che si trincerò a Messina con i suoi sostenitori.

A Termini il Cardona aveva riunito i rappresentanti di un gran numero di città siciliane in occasione delle esequie di re Ferdinando, mentre presidenti del regno erano stati eletti i marchesi di Geraci e di Licodia (Ventimiglia e Santapau). Mentre il Moncada, definendo i Siciliani ingovernabili e sediziosi, sollecitava un intervento armato del nuovo re Carlo V, fondatore della dinastia degli Asburgo di Spagna ed incoronato imperatore ad Aquisgrana nel 1520, l’autonomismo siciliano era sostenuto dal blocco di potere messo insieme dal vicerè di Napoli con l’intento di affermare una linea politica "italiana" da contrapporre a quella "castigliana". L’opera dei marchesi di Geraci e di Licodia, presidenti del regno, ottenne l’appoggio di quasi tutte le città contro il Moncada e contro l’Inquisizione spagnola.

Il Moncada ebbe dalla sua parte soltanto Messina, Taormina e Lentini, mentre tra i nobili gli rimasero fedeli i conti di Adernò, di Caltabellotta, di Bivona, di Paternò e 35 baroni. All’inviato regio Diego de Aquila le città ed i nobili ribelli presentarono precise richieste di garanzie, pur cercando la via della mediazione. Ma i due marchesi presidenti del regno vennero esiliati a Napoli ed il fronte nobiliare venne, così, decapitato.