Il nuovo sovrano Alfonso V, detto il Magnanimo, pensò subito di richiamare il fratello dalla Sicilia, preoccupato dall’attaccamento che verso di lui avevano mostrato i Siciliani e dalla presenza in Aragona di una corrente dell’opinione pubblica favorevole a dare a Giovanni il regno di Sicilia.

Il re affidò ad Antonio Cardona la delicata missione di chiedere a Giovanni di ritornare in Spagna, ma questi obbedì prontamente e preferì la serenità del regno di Navarra, tramite il matrimonio con Bianca, alla spinosa situazione siciliana. Domenico Ram ed Antonio Cardona furono i primi di una lunga serie di vicerè Finivano, così, le ultime speranze di restaurazione del “Regnum Siciliae”, mentre la penisola iberica si preparava alla unificazione delle sue forze per la costituzione dell’imperialismo spagnolo, che la porterà a dominare in Europa.

Il regno di Alfonso V si caratterizzò soprattutto per una politica economica di sperpero e di rapina, conseguenza di una politica estera ambiziosa e disinvolta, che il re non poteva permettersi. Fu caratterizzato, inoltre, dal rafforzamento dei privilegi della classe feudale, che, costretta a finanziare continuamente il re, chiedeva la concessione di sempre nuovi privilegi, che le consentissero di vessare le classi subalterne con l’imposizione di tasse.

Alfonso ottenne l’appoggio dei nobili siciliani per la spedizione contro la Corsica e per la conquista dell’Italia meridionale, obiettivi che erano estranei agli interessi della Sicilia, ma che davano la possibilità di arricchirsi ai mercanti con le forniture di guerra ed ai baroni con i saccheggi ed i riscatti.
Intraprese guerre anche contro Venezia, Genova, Milano e Firenze, danneggiando, talvolta, il commercio siciliano, come quando nel 1446 i Veneziani bruciarono per rappresaglia tutte le navi che si trovavano nel porto di Siracusa.

Alfonso era erede adottivo di Giovanna II (del ramo degli Angiò – Durazzo), regina di Napoli, e alla sua morte, avvenuta nel 1435, dovette difendere la sua successione contro Renato d’Angiò, sostenuto dal papa e da altri stati italiani. Il 4 agosto 1435 fu sconfitto dai Genovesi a Ponza e fu condotto prigioniero a Milano, dove riuscì a conquistarsi l’amicizia del duca Filippo Maria Visconti, che lo liberòe gli dette appoggio per conquistare Napoli, dove entrò definitivamente nel 1442.

Alla morte di Filippo Maria l’ambizioso Alfonso tentò di contendere la successione del ducato a Francesco Sforza, ma fu battuto nel 1448 presso Piombino dai Fiorentini e nel 1449 dalla flotta veneziana. Con l’adesione alla pace di Lodi nel 1454 egli abbandonò per sempre le sue pretese sul ducato di Milano.

Dopo la conquista di Napoli Alfonso unì i regni di Sicilia e di Napoli, città che egli scelse come sua residenza e “capitale” del suo impero. Questa sua scelta rientrava nella visione che egli aveva della politica mediterranea, secondo cui Napoli era il centro di gravità di un asse Barcellona-Costantinopoli. Negli ultimi anni della sua vita la scelta di lasciare Napoli al figlio illegittimo Ferrante, separandola dal resto del regno d’Aragona, sembrò sconfessare la sua politica mediterranea e perseguire una re-italianizzazione del regno di Napoli, staccato dalla Spagna. Questo ripensamento della politica estera di Alfonso potrebbe essere legato alla conquista turca di Costantinopoli ed all’esperienza di 15 anni di regno.

Gli aristocratici siciliani, in cambio del loro appoggio alla dispendiosa politica estera del re Alfonso, ottennero dal re il riconoscimento di sempre più numerosi privilegi, come quello di diventare legittimi proprietari di terre illegalmente usurpate, se detenute da oltre trent’anni, o quello di imporre tasse agli abitanti dei loro feudi, oltre a pretendere da essi il giuramento di fedeltà. Il barone Ventimiglia, ad esempio, nel 1430 ebbe riconosciuto il diritto, ereditario per i suoi discendenti, di piena giurisdizione penale nella sua contea di Geraci.

Alfonso V amò presentarsi come un mecenate amante della cultura, di qui l’appellativo di “Magnanimo”, ma le sue limitate risorse finanziarie, sempre impegnate nelle guerre, non gli dettero la possibilità di largheggiare in tal senso. Egli riaprì a Messina la scuola di greco ed istituì a Catania nel 1444 la prima università siciliana. Essa si caratterizzò per gli studi di medicina e di giurisprudenza, mentre dette scarso impulso agli studi umanistici.
Nonostante i lodevoli intenti del re Alfonso, il panorama culturale della Sicilia nel periodo del Rinascimento si presenta piuttosto povero, se si eccettua la figura del pittore Antonello da Messina e dello studioso umanista Antonio Beccadelli, detto il Panormita, che, peraltro, passarono la loro vita a Napoli, Venezia, Milano. In qualche caso artisti e studiosi erano fatti venire dall’estero, come gli scultori Laurana e Gagini dall’Italia settentrionale ed il professore di greco Lascaris da Costantinopoli.