Prima che Carlo V lasciasse la Sicilia (novembre 1535), nominò vicerè Ferrante Gonzaga.

La politica imperiale nei confronti dei Turchi seguiva l’indirizzo di trattare la pace con la Francia, sostenitrice del sultano, per poter agire contro i Turchi; Gonzaga era, invece, del parere di trattare con il Barbarossa, che si offriva di abbandonare il sultano per passare dalla parte dell’imperatore, a condizione che fosse creato per lui un vasto stato barbaresco, alleato della Spagna, che andasse da Algeri a Tunisi. In questo modo i Turchi sarebbero stati confinati nel Mediterraneo orientale (con grave danno per i Veneziani) e nello stesso tempo si sarebbe indebolita la Francia, loro alleata, allo scopo di eliminarne la candidatura alla successione del ducato di Milano.

Intanto il vicerè puntava sulla fortificazione dell’isola, soprattutto nella parte orientale, politica che continuò per tutto il decennio successivo e che trasformò l’isola in una fortezza. In questo clima si inserì la rivolta dei soldati spagnoli del presidio di Castelnuovo, che terrorizzarono la valle dell’Alcantara, da Messina a Catania, finchè il Gonzaga fece uccidere a tradimento, simulando il perdono, i capi della rivolta e concluse con i superstiti un accordo a Linguaglossa.

In quell’occasione nella corrispondenza del vicerè con Carlo V troviamo la denuncia del fatto che i soldati spagnoli e lombardi di stanza in Sicilia, definiti dal Gonzaga la "feccia" dell’umanità, danneggiavano le finanze dell’isola e ne terrorizzavano la popolazione. Continuarono le incursioni barbaresche e nel luglio del 1539 il Barbarossa conquistò Castelnuovo e passò a fil di spada l’intera guarnigione spagnola. Ripresero i contatti diplomatici tra il Barbarossa e l’imperatore, che inviò Pietro Sanchez per riprendere le trattative interrotte nel 1537 con il vecchio corsaro.

Questi si dichiarò disposto a trattare e chiese per sè il regno di Tunisi (con la Goletta), che era nelle mani di Muley Hassan, sovrano tributario dell’imperatore, più Tripoli, Bugia, Orano e Bona, che era già sua.

Ma alla linea politica del Gonzaga, favorevole ad un’intesa con il Barbarossa, si contrapponeva la linea sostenuta da Andrea Doria e da Pietro di Toledo, che manifestavano il timore che un grande regno africano in mano all’infido Barbarossa avrebbe costituito sempre un pericolo per la Sicilia, mentre consigliavano all’imperatore di trattare una tregua con il Sultano turco e rafforzare l’attuale sovrano di Tunisi Muley Hassan. In questo modo si sarebbe isolata la Francia, vanificando le sue pretese sul ducato di Milano, e si sarebbe tenuto a bada il pericolo turco.

Prevalse la seconda linea politica ed il Gonzaga dovette accettarla. Carlo V investì il figlio Filippo del ducato di Milano ed il Gonzaga, tornato in Sicilia, convocò il Parlamento per ottenere il solito donativo di 300.000 fiorini e un dazio straordinario per finanziare la guerra a sostegno del re di Tunisi. Ma la campagna africana non dette gli esiti sperati, mentre la Sicilia, afflitta dalla carestia, non poteva piu’ essere spremuta per ottenere altri finanziamenti.

L’alleanza tra Turchia, Francia e Barberia (Nord-Africa) era più salda che mai e la Sicilia si sentiva cinta da assedio. Non restò da fare altro al Gonzaga che fortificarla il più possibile con grave onere per gli abitanti di Trapani, Messina, Siracusa, Catania. Nell’agosto del 1542 la costa orientale della Sicilia, da Messina a Modica, fu colpita da un violento terremoto, che si ripetè a novembre ed a dicembre. Le popolazioni videro in esso il presagio di peggiori eventi futuri collegati con il pericolo turco ed il Parlamento si affrettò a concedere un donativo di 100.000 fiorini da impiegare nelle opere di difesa.

Il Gonzaga non era più in Sicilia quando si verificarono le scorrerie turche, ma era al fianco dell’imperatore con compiti di alto livello militare e diplomatico. Tornò nell’isola nel dicembre del 1545 per allontanarsene nel marzo del 1546, quando fu chiamato a rivestire la carica di governatore di Milano dopo la morte del marchese del Vasto. Nel decennio in cui il Gonzaga fu vicerè di Sicilia i gruppi dirigenti isolani presentarono connotati sbiaditi e una cronica debolezza.

Il centro della politica erano la Spagna e l’impero e, nonostante schierarsi con l’una o con l’altra fosse importante per il futuro della Sicilia, non vi furono prese di posizione eclatanti ed incisive. L’istituto parlamentare, già svuotato della sua significatività per il prevalere nelle città del ceto nobiliare, che aveva esautorato le funzioni dei consigli municipali, non aveva espresso politicamente personalità di spicco. I baroni nel Parlamento del settembre 1535 avanzarono al re delle richieste volte a dare alla nobiltà isolana una posizione di spicco, come aveva quella napoletana, ed una certa autonomia nei confronti del vicerè, ma, quando esse rimasero inascoltate, non vi fu opposizione alcuna, se non la sterile riproposizione di alcune di esse.

In realtà la classe dirigente isolana, già scompaginata dagli avvenimenti del primo ventennio del ‘500, era disorientata dinanzi ai rapidi mutamenti della politica mediterranea, che poneva temi di grande portata internazionale, legati alla politica imperiale. Il pericolo turco era uno di questi temi e veniva visto come ineluttabile; con altrettanta passività venivano accettati i temi della lotta contro gli infedeli e della repressione delle eresie. Ma su questo terreno si riscontrava anche un atteggiamento positivo quando si parlava di riforma della Chiesa e di opera mediatrice del concilio nei confronti dei riformati.

Grandi mutamenti dal punto di vista politico e commerciale erano avvenuti nella politica internazionale in seguito alle scoperte geografiche dei grandi viaggiatori. In Spagna nel ‘500 il centro di gravità si era spostato dall’Aragona alla Castiglia, mentre il Mediterraneo stava per diventare di secondaria importanza, dal punto di vista commerciale, rispetto all’Atlantico. La Sicilia si preparava ad esercitare un ruolo sempre più marginale nella politica mondiale, perchè le vie commerciali verso le Indie e verso l’America, aperte dal Portogallo e dalla Spagna, le avevano tolto la condizione privilegiata di crocevia dei commerci del mondo occidentale.