Il nuovo sovrano riuniva sul suo capo le corone d’Aragona e di Sicilia; la sua politica ebbe come obiettivo il consolidamento dell’autorità regia, scossa da due anni di interregno, il ristabilimento della concordia negli stati su cui era chiamato a regnare, la riaffermazione del prestigio internazionale del regno.
Egli agì con tatto ed intelligenza, ma, nonostante ciò, i Catalani, Giacomo di Urgel e Luigi d’Angiò, che aveva sostenuto la candidatura di Luigi di Calabria, continuarono a contestarlo. Alla fine, nonostante i dissidenti si fossero procurati appoggi in campo internazionale (il papa aveva scomunicato Ferdinando I), la sua politica autorevole e forte ebbe successo non solo negli stati iberici, ma anche in Sicilia ed in Sardegna. In Sicilia Ferdinando I agì con cautela e gradualità, conscio della presenza dell’aspirazione indipendentista. La Sicilia era prostrata dalla guerra civile e si faceva sentire la penuria di grano, non c’era, quindi, voglia di altre guerre, e su questa base Ferdinando I realizzò il suo piano di intervento.
A tal fine inviò in Sicilia alla fine del 1412 un gruppo di abili ambasciatori (Romeo de Corbera, maestro di Montesa, Martino di Torres, dottore in decreti, Ferdinando Velasquez, cancelliere del regno, Lorenzo Redon, Ferdinando Gutierrez de Vega) con il mandato di assicurare un graduale passaggio di poteri e di attirare il consenso dei sudditi sulla legittimità della sua successione nel regno di Sicilia.
Il re inizialmente confermò a Bianca il vicariato, per evitare contrasti, ma, quando gli ambasciatori si resero conto che il potere della vicaria non era affatto saldo, dettero inizio ad una sottile azione diplomatica, tesa ad ottenere dai Siciliani il giuramento di fedeltà al re con la promessa del rispetto dei privilegi dell’isola, mentre Bianca, ignorata e lasciata nell’isolamento più totale, infine cedette i suoi poteri agli ambasciatori, che, qualificandosi come "viceregentes", presero possesso della Sicilia in nome di re Ferdinando.
I vicereggenti iniziarono la riorganizzazione amministrativa del regno, che versava in una grave situazione economica, servendosi della collaborazione delle città. Restavano, però, le incognite legate alle rivalità municipalistiche ed all’opposizione degli esuli, che presso le corti straniere tessevano trame contro gli Aragonesi.Rimanevano sempre vive le pretese angioine e pontificie sulla Sicilia, mentre gli oppositori diFerdinando non riconoscevano la sua investitura a re di Sicilia, perchè fatta dall’antipapa Benedetto XIII. Ferdinando non sottovalutò la situazione e rivolse alla Sicilia una particolare attenzione. Allo scopo di scongiurare il pericolo angioino, egli accettò nel 1413 le proposte di alleanza di Ladislao di Durazzo, re di Napoli, circostanza che lo avvicinava anche alla Chiesa di Roma.
I Siciliani reagirono prontamente con la convocazione di un parlamento a Catania il 1 settembre 1413, in cui presentarono un memoriale, dove si sottolineava che i Siciliani non erano contro la casa di Aragona, ma volevano che il re mantenesse in vita le prerogative di cui sempre avevano goduto fin dai tempi dei primi re aragonesi, chiedevano, cioè, di tenere separato il sistema amministrativo e giuridico della Sicilia da quello degli altri domini aragonesi, di nominare siciliani ai posti di governo e di stabilire l’obbligo per il sovrano di risiedere in Sicilia, perchè l’esperienza dei vicariati era stata negativa. Erano le vecchie tendenze autonomistiche ed indipendentistiche, che con molto tatto erano presentate a Ferdinando, al quale si suggeriva di cedere il regno di Sicilia ad uno dei suoi figli, ed era insieme un’aperta polemica verso Bianca ed i vicereggenti.
Il re decise di richiamare i vicereggenti e di allontanare dalla Sicilia la vicaria Bianca, ma questo non fu sufficiente a rassicurare i Siciliani, ed una delegazione composta da Ubertino de Marinis, arcivescovo di Palermo, Filippo Ferrara, vescovo di Patti, Giovanni Moncada, si recò dal re in Spagna nell’aprile del 1414 per esporgli i desiderata dei Siciliani. Il re promise di inviare in Sicilia l’infante Giovanni, duca di Peñafiel (e avvenimenti di carattere internazionale lo costrinsero a mantenere la promessa), per scongiurare il pericolo di perdere l’isola, infatti il re del Portogallo , Giovanni I, progettava il matrimonio di uno dei suoi figli con Bianca di Navarra, con l’obiettivo di impadronirsi della Sicilia, centro importante delle rotte mercantili del Mediterraneo.
Intanto era morto Ladislao di Durazzo, re di Napoli, con il quale Ferdinando aveva stretto alleanza, e gli era succeduta la sorella Giovanna II, sulla quale la corte aragonese fece progetti matrimoniali per l’infante Giovanni, allo scopo di neutralizzare l’eventuale ripresentarsi di pretese sulla Sicilia da parte dei Durazzeschi. L’arrivo di Giovanni nel giugno del 1415 fu accolto con soddisfazione dai Siciliani, che su di lui appuntarono le loro aspirazioni autonomistiche, come ai tempi di Federico III d’Aragona; ma Giovanni non ebbe la tempra sufficiente per assumersi libertà d’azione e rimase sempre sottomesso al padre, di cui rispettò le disposizioni.
Egli cercò di riordinare la Sicilia dal punto di vista amministrativo e di risollevarla dallo stato di crisi economica in cui versava, ma suscitò il malcontento dei Siciliani affidando a catalani le maggiori cariche pubbliche, secondo le disposizioni di Ferdinando, venendo, cos’, meno all’impegno di rispettare i privilegi e le costituzioni del regno di Sicilia. Il duca Giovanni respinse la corona che il parlamento di Palermo, nonostante la sua resistenza, gli offerse all’inizio del 1416, quando si seppe che Ferdinando I era gravemente malato.
I Siciliani avevano sperato fino all’ultimo di avere un proprio re, ma il duca Giovanni non aveva sposato la loro causa. Quando Ferdinando I morì il 2 aprile 1416, gli successe il primogenito Alfonso, mentre il duca Giovanni fu il primo dei 78 vicerè che si succedettero in Sicilia; infatti l’isola con i sovrani successivi non fu piùsede di regno, ma fu amministrata per i successivi 400 anni da vicerè di origine quasi sempre straniera. La Sicilia non esercitò più un ruolo politico autonomo e la sua autonomia fu di ordine esclusivamente amministrativo.