La lavorazione esterna precedente alla fusione comprendeva le operazioni di scarico, di accatastamento, nonché di misurazione
Vagoni per il trasporto dello zolfo all’esterno della miniera
Il minerale, una volta portato in superficie, veniva scaricato in una piattaforma preparata poco lontano dalle discenderie e a livello superiore agli apparecchi di fusione.
Detto piano era caratterizzato da un muretto dello spessore di circa trenta centimetri e dell’altezza di un metro, che lo tagliava in due longitudinalmente e che prendeva il nome di carruzzuni. Esso serviva da guida per l’altezza delle cataste o basittati, coperte generalmente da una grande tettoia utile a riparare il minerale dalla pioggia.
Se l’estrazione del minerale avveniva col sistema a spaddafora, i carusi svuotavano il contenuto dei sacchi presso il carruzzuni, se invece avveniva tramite vagoni, questi erano spinti dai vagonieri attraverso i binari di un piano inclinato fino allo scaricatoio, più alto di qualche metro rispetto al piano di scarico.
I catastara impostavano quindi il minerale utilizzando il muro come livello di riferimento, avendo cura di porre in basso i blocchi più grossi, vicini tra loro il più possibile, e riempiendo i vuoti con frantumi di minerali, in modo da formare vari parallelepipedi, ai quali si dava il nome di basittati. Quando la qualità era molto grande si aveva cura di duplicare o moltiplicare l’altezza del carruzzuni.
Vagonaro immette il carrello pieno di zolfo sul piano inclinato di una discenderia a scaloni rotti
L’operazione dell’impostamento era molto importante e delicata, per cui era necessario che i catastieri fossero persone onestissime ed esperte del mestiere, le quali dovevano aver cura che il minerale fosse privo di sostanze estranee e soprattutto che quello già misurato non venisse asportato per farle figurare in altre basittati.
Dopo l’ impostamento si passava alla misurazione di cui l’unità di riferimento era la cassa, corrispondente a quattro metri cubi, cioè uguale ad un parallelepipedo avente un metro d’altezza e due di lunghezza e di larghezza, in modo da rendere facile calcolare le dimensioni del minerale impostato.
Per i frantumi minuti del minerale, chiamati sterru, si usava un recipiente di legno della capacità di metro cubo senza fondo ne coperchio che, riempito di materiale, si svuotava facilmente sollevandolo; occorrevano quattro misure del genere per fare una cassa.
Vagoni carichi di zolfo che vengono trainati da animali
Questo sistema di lavorazione era a volte sostituito dalla pesatura, molto più semplice ed economico, che più difficilmente poteva dare adito ad inganni o a truffe da parte del proprietario ai danni dei cottimisti.
I vagoni venivano spinti dalla forza degli uomini verso una grande besculla detta bilicu, ma se la distanza tra il pozzo e il luogo della pesatura era notevole, i vagoni erano agganciati, incolonnati e trainati dalla forza di animali di soma, soprattutto da muli, formando la sciorta di vaguna.
I vagoni poi venivano poi spinti uno alla volta sulla piattaforma del bilicu, la cui strumentazione riportante l’indicazione dei pesi, era posta nell’interno di una costruzione dove si trovava il pesatore, che segnava sui registri il pesò nonché il nome del picconiere e della partita, scritto su un cartello che il marchiere aveva avuto cura di appiccicare nella parte posteriore del vagone, cospargendovi un po’ di argilla impastata a mo’ di colla.
Eseguite le operazioni di misurazione o di pesatura, si faceva la giudica, cioè la consegna del minerale dal picconiere all’esercente, che poteva essere definita quando la fusione doveva farsi dall’esercente per conto suo, oppure provvisoria, quando le spese della fusione dovevano essere affrontate dal picconiere, impegnatosi a consegnare zolfo fuso.
In tal caso la consegna si faceva per costatare la quantità dell’anticipo in denaro che l’esercente doveva dare ai lavoratori, ragguagliata ad un tanto a cassa o a tonnellata.
Preparazione dei pani di zolfo