Numerose tasse gravarono sulla Sicilia: innanzitutto il decimo del raccolto di grano e orzo, che veniva pagato in natura direttamente a Roma ; in denaro veniva, invece, pagata l’imposta su vino, olive, frutta e altri prodotti agricoli e la tassa sul pascolo.
Flotta con equipaggio per difendere le coste dagli attacchi dei pirati.
L’esportazione di eventuali quote del rimanente raccolto era consentita solo per l’Italia; per altre località era necessaria l’autorizzazione del Senato.
Un dazio del 5% gravava sui beni che transitavano in arrivo o in partenza nei porti siciliani (ne erano esclusi le decime e i beni personali dei viaggiatori).
Le città dovevano, inoltre, fornire piccole flotte con equipaggio per difendere le coste dai pirati, pagare tasse locali per fronteggiare spese varie (costruzione di edifici pubblici, rifornimento di acqua, festività religiose e non). Queste tasse non venivano spese in loco per il benessere dei Siciliani, come avveniva ai tempi di Ierone di Siracusa, ma confluivano a Roma.