Nel 466 la tirannide è sostituita dalla democrazia in tutte le città della Sicilia.
Palazzo Ducezio (sede del Comune di Noto), chiamato così in onore del mitico fondatore di Noto, il guerriero siculo Ducezio
Non ci giungono testimonianze di resistenza da parte delle oligarchie, ma i conflitti sociali si inaspriscono, perchè ci sono gli esclusi dalle cariche pubbliche, come i mercenari, che protestano; i rapporti di proprietà sono resi confusi dalle restituzioni seguite alle confische e danno luogo ad una miriade di processi.
Nasce così la grande oratoria forense con Corace di Siracusa ed il suo allievo Tisia; più tardi sarà Gorgia di Leontini l’oratore più famoso del mondo greco.
A Siracusa si instaurò un tipo di repubblica, che assomigliava a quella di Atene, con un’assemblea popolare che approvava le leggi, decideva la politica estera e militare, sceglieva i magistrati.
Un consiglio, a simiglianza della Bulè greca, faceva il lavoro preparatorio per l’assemblea. A differenza che ad Atene, i componenti del consiglio ed i funzionari civili non erano sorteggiati, ma erano eletti, il che snaturava dal punto di vista dei Greci il principio di uguaglianza sul quale si fonda la democrazia.
Persisteva la divisione in classi e vi fu un tentativo di restaurazione della tirannide ad opera delle classi inferiori. Il tentativo fallì, ma i Siracusani, per timore della tirannide, istituirono il petalismo, simile all’ostracismo greco, che consentiva di mandare in esilio le persone troppo influenti.
Questo sistema si rivelò dannoso, perchè allontanava dalla vita politica i cittadini migliori, e fu ben presto abbandonato.
Siracusa attraversò un periodo di debolezza, di cui approfittarono i Siculi per ribellarsi ai Greci sotto la guida di Ducezio, che diede vita ad un movimento di liberazione "nazionale", che partì da Mineo, conquistò Etna (Catania) e Morgantina, si spinse vicino a Siracusa, dove fu fondata Noto, il cui palazzo comunale prende il nome da Ducezio.
I Siracusani, prima sconfitti, ebbero la meglio sugli insorti a Nomo nel 450 a.C., quando si unirono agli Agrigentini.
Essi non infierirono contro Ducezio, che i Siculi vedevano come l’eroe nazionale, e lo mandarono in esilio a Corinto. Tornato dall’esilio due anni dopo, riprese la sua impresa, che fu interrotta dalla sua prematura morte.
Questa fu l’ultima rivolta dei Siculi, che segnò la fine del movimento di liberazione.
I Siculi, da questo momento in poi, si integreranno nella civiltà greca, come testimoniato dai miti che si scambiano, e gli antichi daranno a questo popolo un nuovo nome: Sicelioti.
Nasce una cultura che fonde la serenità ieratica dello spirito greco con la mentalità vivace e sofista dei Siculi. L’epica e la tragedia trionfano accanto all’oratoria e anche ad Atene si incontrano le due mentalità: la dialettica ed il sublime, il terreno ed il divino.
Iniziò per la Sicilia dopo il 450 a.C., un periodo di conflittualità tra le città greche con l’intervento di Atene e Cartagine.
L’interesse di Atene per la Sicilia si concretizzò in un patto di alleanza con Segesta, e, quando questa fu attaccata da Siracusa, chiese aiuto ad Atene.I conflitti sociali e i conseguenti tentativi, ad opera delle classi inferiori, di restaurazione della tirannide, oltre ad un periodo di conflittualità tra le città greche, determinarono un interesse di Atene, impegnata contro Sparta nella guerra del Peloponneso, verso l’occidente mediterraneo
A questo punto la storia della Sicilia si intreccia con quella di Atene impegnata contro Sparta nella guerra del Peloponneso.
Atene mandò un imponente esercito nel 415 a.C. al comando dello stratego Alcibiade, esponente del partito democratico, che coltivava il progetto di estendere l’egemonia ateniese all’occidente mediterraneo.
I nemici personali di Alcibiade lo coinvolsero in un processo per empietà e, dopo che la spedizione era giunta in Sicilia, lo richiamarono in patria per discolparsi dell’accusa di sacrilegio.
Alcibiade, per sottrarsi ad un processo che era, in realtà, una macchinazione politica, passò dalla parte del nemico e convinse Sparta ad intervenire in aiuto di Siracusa.
La spedizione fu un disastro per Atene, che fu sconfitta, e i prigionieri furono rinchiusi nelle latomie (cave di pietra adibite a prigione) di Siracusa.
I Siracusani, per ringraziare Sparta dell’aiuto prestato, inviarono una grossa flotta al comando di Ermocrate per aiutarla nella guerra del Peloponneso, che la vedeva in lotta con Atene; ma la spedizione dovette essere ritirata, perchè un grosso pericolo incombeva sulla Sicilia: Cartagine aveva distrutto Selinunte e Imera (408 a.C.).
Anche Agrigento cadde nel 406 e Siracusa, in questa emergenza, affidò il potere a Dionisio, genero di Ermocrate, che riuscì a concludere la pace con il cartaginese Imilcone, anche se intanto erano cadute anche Gela e Camarina.
Ritorna così la tirannide a Siracusa e, in breve tempo, anche nel resto della Sicilia.
E’ chiaro perchè i Sicelioti non riuscirono ad instaurare città-stato del tipo greco, che avessero una certa stabilità.
Con la minaccia della potenza di Cartagine c’era una perenne instabilità politica; non di rado intere popolazioni erano state sradicate più di una volta dalle città di origine per essere portate altrove, come i Gelesi portati a Siracusa; a questo si aggiunga la presenza dei mercenari e si capirà come fosse difficile far sorgere quel senso di comunità, che è indispensabile in una città -stato.
La guerra del Peloponneso tra Atene e Sparta e la spedizione in Sicilia guidata dal generale ateniese Alcibiade (415 a.C.)
Antiche latomie (cave di pietra adibite a prigione) di Siracusa