La dinastia Kalbita riuscì a realizzare un’autonomia più accentuata rispetto al passato dai Fatimiti d’Egitto sotto Abu’ l-Futuh Yusuf (989-998), sotto il quale la Sicilia attraversò un periodo di grande prosperità.

Egli dimostrò di possedere in sommo grado talento politico e capacità amministrative e la sua corte raggiunse il culmine della prosperità e della potenza. Cessarono gli abusi sulle comunità cristiane e le razzie, mentre furono smantellati gli ultimi centri di resistenza bizantini.

Quando Yusuf fu colpito da paralisi, nominò reggente il figlio Giafar (998-1019), che non aveva le capacità di governo del padre e preferiva ai disagi delle operazioni militari gli agi della vita di corte, allietata dalla presenza di poeti e di uomini di cultura. La dinastia Kalbita attraversò un momento di crisi per un contrasto interno quando Alì nel 1015 si ribellò al fratello Giafar. I ribelli furono sconfitti e Ali’ fu ucciso.

Altro momento di crisi fu quando Palermo si ribellò a causa dell’eccessivo onere fiscale, conseguenza della dispendiosa vita di corte. In questa circostanza fronteggiò la situazione il vecchio Yusuf, che sostituì alla reggenza il figlio Giafar con un altro figlio, Ahmad, soprannominato al-Akhal (1019-1036). Quest’ultimo riuscì a far dimenticare il cattivo governo di Giafar e ad instaurare un clima di collaborazione, dando sviluppo all’edilizia ed all’agricoltura. Nell’intento di preparare la sua successione e di avere nello stesso tempo una persona fidata, a cui lasciare il comando quando si allontanava dall’isola per effettuare spedizioni nell’Italia meridionale, si associò al governo il figlio Giafar, omonimo del tanto vituperato zio.

Egli si rivelò inferiore al compito affidatogli, perché suscitò il risentimento di quelle famiglie che, discendendo dai primi invasori musulmani, ritenevano di avere diritto a privilegi, che Giafar non riconobbe loro, privilegiando, invece, le nuove generazioni. Scoppiò una rivolta e al-Akhal chiese aiuto ai Bizantini, mentre i ribelli si rivolsero agli Ziriti d’Africa, successi ai Fatimiti. Dall’Africa venne un esercito guidato da Abd Allah, che fu sconfitto dai Bizantini, i quali, però, non sfruttarono il successo, ma si ritirarono nell’Italia meridionale, mentre al-Akhal veniva ucciso e Abd Allah restava arbitro della situazione.

L’imperatore bizantino Michele IV Paflagone (1034-1041), approfittando della situazione, decise di riconquistare la Sicilia e vi mandò un consistente esercito, composto da genti di diverse razze, al comando di Giorgio Maniace. Questi, nel reclutare i mercenari, si era rivolto al principe di Salerno, al cui servizio erano i Normanni, che con le loro pretese cominciavano a creargli dei problemi. I Normanni vennero in Sicilia al seguito di Maniace guidati da Guglielmo, Dragone e Unfredo d’Altavilla.

L’esercito bizantino nel 1038 occupò Messina. Seguì la presa di Siracusa, nonostante l’arrivo di rinforzi dall’Africa per i Musulmani. I Normanni, scontenti del compenso ricevuto, nel 1040 abbandonarono la Sicilia e ripassarono lo stretto.

A questo punto una vicenda di intrighi politici vanificò le imprese di Maniace. L’ammiraglio Stefano, incolpato da Maniace della mancata intercettazione delle navi saracene, accusò a sua volta Maniace presso l’imperatore di manovre sleali contro l’impero. Maniace fu destituito, richiamato a Costantinopoli e messo in carcere; il suo posto fu preso dall’ammiraglio Stefano. Gli intrighi ed i settarismi, a cui aveva prestato credito la corte di Costantinopoli, sempre timorosa di ribellioni nelle regioni periferiche, avevano vanificato l’ultima speranza dell’impero bizantino di riconquistare la Sicilia. In questo marasma emergerà una forza nuova, rappresentata dai Normanni, per il momento operanti in Puglia, ma pronti ad assumere un ruolo determinante nella politica dell’Italia meridionale e della Sicilia.