La conquista della Sicilia da parte di Carlo d’Angiò fu finanziata dal papa col denaro raccolto per una Crociata e gli Angioini furono accusati di eccessivo fiscalismo e di grande crudeltà nei confronti dei Siciliani.
La generazione della famiglia d’Angiò a corte.
La conquista della Sicilia da parte di Carlo d’Angiò fu finanziata dal papa col denaro raccolto per una Crociata, sicchè l’impresa assunse la fisionomia di guerra santa, anche se si trattava di combattere contro altri cristiani. I soldati dell’esercito di Carlo d’Angiò, nella loro qualità di partecipanti ad una spedizione punitiva indetta dal papa, non si sentirono obbligati ad usare rispetto nei confronti degli abitanti dei territori conquistati.
Il re Carlo, da parte sua, non tenne affatto conto della tradizione secondo la quale i re di Sicilia erano eletti dai baroni e dal popolo, sicchè fu considerato dai Siciliani un usurpatore. Egli, inoltre, trasferì la sede del governo a Napoli ed assai raramente dimorò in Sicilia.
Altro motivo di attrito fu l’intolleranza religiosa dei Francesi in un paese in cui musulmani e cristiani avevano fatto della tolleranza un costante modus vivendi.
La dominazione angioina in Sicilia è descritta da molti storici a tinte fosche ed a ciò hanno contribuito, senza dubbio, gli storici legati alla tradizione ghibellina. Gli Angioinisono stati accusati di eccessivo fiscalismo e di grande crudeltà, ma in realtà Carlo d’Angiò versava in notevoli difficoltà finanziarie, aggravate dagli obblighi che egli aveva assunto nei confronti della Chiesa, ed inoltre doveva difendersi dai sempre presenti tentativi di rimonta della nobiltà ghibellina, che si era rifugiata in gran parte in Catalogna. In ogni caso il fiscalismo angioino non fu più pesante di quello svevo.
La scarsità dei documenti a disposizione non consente uno studio approfondito del periodo angioino, ma alcuni elementi emergono con assoluta certezza. Alla conquista seguì la confisca delle terre dei feudatari svevi e la ridistribuzione ai nobili franco-provenzali (la moglie di Carlo d’Angiò, Beatrice, gli aveva portato in dote la contea di Provenza).
Questa operazione fu condotta senza eccessi, infatti il sovrano si dichiarò disposto ad accogliere il pentimento di coloro che volessero abbandonare la causa sveva e conservare, così, il loro feudo.
L’aristocrazia isolana, però, non sopportava l’introduzione di nuove usanze tipiche della corte francese, come quella che i nobili servissero a tavola il re.
Inevitabili furono, inoltre, gli antagonisti tra baroni franco-provenzali e nobiltà indigena, mentre pare che sostanzialmente nessun significativo cambiamento sia avvenuto per quel che riguarda la politica fiscale ed amministrativa e l’assetto economico del feudo, che rimase legato alle colture estensive e cerealicole.
Si ha notizia di un progressivo abbandono delle terre da parte dei contadini, che andava ad incrementare l’estensione della pars dominica, fatto legato al loro indebitamento ed alla loro indigenza, conseguenza di una politica economica orientata verso il profitto senza investimenti e, quindi, verso le colture estensive.
E’ presente la tendenza dei feudatari ad usurpare le terre della pars massaricia e quelle del demanio, tendenza che il sovrano contrastava, come testimoniano i provvedimenti contenuti in due documenti rispettivamente del 7 giugno 1272 e dell’8 giugno 1278, in cui si dichiara che non saranno tollerate usurpazioni a danno dei più deboli.
Carlo d’Angiò stigmatizzava anche la consuetudine di sequestrare ai contadini nullatenenti, che si erano indebitati, gli strumenti di lavoro ed i buoi per l’aratro, consuetudine che, oltre ad essere iniqua, danneggiava la produzione agricola.
Il disagio dei contadini era aumentato rispetto al passato, perchè alla nobiltà feudale terriera si era affiancata una classe signorile urbana, composta da nobili e da alti borghesi, che, approfittando dell’abbandono delle terre da parte dei contadini, le prendeva in piena proprietà per darle in affitto, perpetuando, così, la separazione tra coltivatore e terra.
La vita delle città era spesso controllata da questo patriziato urbano, che la monarchia non riusciva a tenere pienamente sotto controllo.
Le critiche che si rivolgono alla dominazione angioina sono, dunque, da ricondursi in gran parte ad una situazione socio-economica preesistente e ad un modello di sviluppo con un particolare tipo di rapporto città-campagna. La monarchia angioina, pur non condividendo questa impostazione socio-economica, non seppe incidere in modo significativo per modificarla.
La tradizione del malgoverno angioino è, comunque, legata più che alle direttive politiche ed al fiscalismo, alla mancanza di riguardo che il governo angioino ebbe nei confronti dei sentimenti e delle tradizioni locali.