La Riserva naturale orientata Valle dell’Imera meridionale e Monte Capodarso comprende un’interessante area ubicata al centro della Sicilia, in quel vasto territorio che geologicamente è noto nel mondo come il Bacino (o Fossa) di Caltanissetta.
Gli elementi principali che geograficamente caratterizzano La Riserva sono già esplicitati nella sua stessa denominazione; si tratta di un monte, il Monte Capodarso, e di un fiume, l’Imera meridionale.
La Serie Gessoso-Solfifera ben visibile lungo il fianco occidentale di Monte Capodarso in conseguenza dei fenomeni tettonici e dellerosione.
Chi raggiunge questa parte della Sicilia attraverso l’autostrada A19, provenendo da Palermo ovvero da Catania, innanzi allo scenario in cui è inserito il tratto iniziale della bretella stradale che conduce a Caltanissetta, si accorge subito di essere al centro di una grande valle caratterizzata dalla presenza delle ampie anse del Fiume Imera meridionale, appena arricchito delle acque del Fiume Salso e del Torrente Vaccarizzo, su cui domina l’imponente Monte Capodarso.
Il paesaggio, ampio e caratterizzato da orizzonti lontani con morbide colline e dalle larghe anse del Fiume, improvvisamente, dopo aver imboccato la strada per Gela si chiude fra due montagne: il Monte Capodarso stesso (975 m) ed il Monte Sabucina (706 m). Nel punto più stretto della gola, subito dopo aver superato una vasta area da sempre coltivata a pistacchi (la cosiddetta Fastuchera o Pistacchiera), un antico ponte di valida architettura, il Ponte Capodarso (anno 1553), collega le due sponde del Fiume.
Prima di giungere in corrispondenza della predetta gola si rilevano, ancora abbastanza evidenti, le tracce lasciate dalla frenetica attività mineraria dello zolfo, che si e svolta fino agli anni ’80 del secolo scorso; qui insistevano, infatti, le famose Solfare denominate Giumentaro- Capodarso e Trabonella che costituiscono due autentiche perle di archeologia industriale.
Queste due solfare, per maggiore precisione, hanno sfruttato le propaggini orientali di un bacino minerario solfifero molto vasto, fra i maggiori di Sicilia, lungo da Ovest a Est lungo 5 chilometri e largo, nella direzione ortogonale, oltre un chilometro e mezzo, che è stato coltivato per circa due secoli. Seguendo in direzione Sud lo sviluppo dell’area della Riserva lungo il corso del Fiume Imera, il paesaggio torna ad aprirsi rimanendo generoso d’’interessanti elementi geologici. Lungo i meandri del fiume è possibile rilevare tutti i fenomeni connessi allo scorrere di un corso d’acqua di medie proporzioni: deposizioni ed erosioni, frutto delle migrazioni laterali dei meandri stessi, nonché vari segnali di cedimenti e rimaneggiamenti degli accumuli e dei terreni via via depositati ed erosi.
Nel suo complesso il territorio della Riserva, se pur interessato da interventi dell’uomo di varia tipologia(strade,miniere,elettrodotti, impianti di vagliatura degli inerti del Fiume, insediamenti rurali, agricoltura intensiva ed estiva,etc.), rimane sostanzialmente integro nel suo insieme.
Il Fiume Imera meridionale, nel passato elemento di divisione tra provincie e comuni, diventa oggi elemento d’unione e d’avvicinamento dell’Uomo alla Natura ed alla Storia, nonché chiave di lettura e di possibile valorizzazione di una parte della Sicilia interna- per certi versi particolarmente significativa- segnata da un intenso passato minerario che non riesce a farsi dimenticare.
GEOLOGIA DEL TERRITORIO
Geologicamente la Riserva ricade in piena serie Gessoso – Solfifera (Fase Messiniana del Miocene Superiore), di cui è possibile ammirare con continuità o semplicemente a tratti, in bella vista, gli elementi costitutivi con la relativa copertura dei Trubi (Pliocene inferiore). Gli elementi della Serie si possono rilevare, in modo pressoché continuo, nella parte settentrionale della Riserva, nella zona delle Solfare, ed ancora, a tratti, in talune meravigliose ed ardite puntare che contornano il lembo inferiore occidentale della Riserva stessa.
Rocce e terreni più antichi, quali e arenarie di tipo molassico ed i conglomerati poligenici (Miocene Medio), nonché le argille e le argille marnose grigie del Serravalliano e del Tortoniano(Miocene Medio e Superiore), sono evidenti nella parte settentrionale della Riserva, nella parte Nord del Monte Capodarso e della Solfara Trabonella, nonché nella parte meridionale, in prossimità del Ponte Bèsaro e, ancora più a Sud, verso Pietraperzia. Si importano, inoltre, le facies predominanti, che sono costituite dalle argille e marne argillose grigio – azzurre fossilifere (Pliocene Medio), evolventi in argille sabbiose verso l’alto ed in marne bianche verso il basso, nonché le arenarie, sabbie ed argille sabbiose ed i calcari grossolani organogeni (Pliocene Superiore).
I due monti, Capodarso e Sabucina, appartengono a quella serie di rilievi della Sicilia Centrale che l’ingegnere del corpo delle miniere Baldacci ha definito tabulari, e nei quali oggi, con un linguaggio geologico più moderno, individuiamo le cosiddette strutture a “cuesta”; si tratta di placche costituite da un materiale tenace, assai spesso calcare o calcarenite, di forma appiattita, in genere sub orizzontali o modestamente inclinate, che sovrastano, proteggendole dal degrado, rocce più tenere e più antiche.
Fra gli altri monti della stessa serie il Baldacci ricorda, non distanti, il Monte Pasquasia (610 m) ed il Monte Carangiano (911 m), che comprende, all’interno di un altopiano che caratterizza il suo fianco settentrionale, il Lago di Pergusa.
Il letto attuale del Fiume è costituito da alluvioni terrazzate e recenti, spesso terrazzate in più ordini (Olocene Inferiore), mentre nelle sue vicinanze, a chiazze, si rinvengono depositi fluviali antichi, collegabili tuttavia con l’idrografia attuale (Pleistocene Superiore).
Da un esame dell’attuale morfologia dei Monti Capodarso e Sabucina, risulta chiara l’azione disgregatrice del Fiume nei loro confronti; infatti, nello sviluppo del contesto paleo- geografico, il Fiume, certamente favorito dai fenomeni tettonici (vedansi, ad esempio, le grandi faglie diritte, a Nord- Ovest di Pietraperzia, tipiche di una tettonica distensiva), ha tracciato il suo corso, solcando i già smembrati sedimenti pliocenici che costituivano la parte sommitale delle montagne (Capodarso e Sabucina), fino a mettere a giorno ed, in parte, a disgregare anche la sottostante Serie Gessoso- solfifera, erodendo successivamente i fianchi esposti delle due montagne. L’azione erosiva delle acque è ben visibile anche qui a Sud, nei pressi di contrada Lannari.
Il Fiume, con la sua azione sui fianchi delle montagne, ha quindi finito col portare a giorno gli strati mineralizzati a Zolfo, consentendo cosi una più facile individuazione delle mineralizzazioni e favorendo l’avviamento delle coltivazioni minerarie; e non a caso, a conferma di quanto sopra accennato, tra le Solfare più antiche del bacino vi sono proprio quelle di Capodarso e di Trabonella; non può escludersi addirittura un possibile ruolo di talune acque provenienti dal Fiume durante i processi secondari di minerogenesi dello Zolfo.
Fra gli altri elementi di decorazione del paesaggio spesso evidenti, nell’ambito dei fianchi argillosi e di arenaria di taluni modesti rilievi ricadenti all’interno della (e/o circondati la) Riserva (quali, ad esempio, il limitrofo Cozzo Bersaglio), sono da rammentare i calanchi e gli pseudo- calanchi; essi costituiscono il risultato dell’erosione, in un clima semi arido, dovuta a sistemi di ruscelli di piccole dimensioni, a danno dei fianchi esposti di sedimenti di argilla ed arenaria a stratigrafia orizzontale sui quali la vegetazione non fa a tempo ad attecchire, ovvero attecchisce in maniera minima; tali strutture della Riserva, elementi di grande Micro- instabilità, non hanno nulla di invidiare, nelle loro selvagge ripetizioni, alle “bad lands” del Sud Dakota, pur con le dovute proporzioni.
LA SERIE GESSOSO- SOLFIFERA
Fra le rocce più antiche presenti nell’area, dunque, si annoverano le Argille e le Argille Grigie del Tortoniano Superiore (Miocene Superiore), risalenti a circa sette/sei milioni di anni fa e che costituiscono la base d’appoggio dei sedimenti del Serie Gessoso- Solfifera.
Il Tripoli, elemento basale della predetta Serie, costituito fondamentalmente da un alternanza di bianche Diatomiti e di spicule di Radiolari con marne e calcari più o meno dolomitici, risulta in genere visibile con difficoltà per l’esigua potenza dei suoi strati; tuttavia, laddove rilevato, si presenta assai soffice, biancastro, e risulta spesso ricco di fossili. Si tratta, per lo più, di pesci fossili, la cui generale moria è da imputare alle difficili condizioni di vita che si crearono nel Mediterraneo, poco prima dell’inizio della vera e propria fase evaporitica.
Diversamente da come è stata descritta nel passato, oggi la Serie Gessoso-Solfifera non viene più vista come una serie de posizionale ciclica continua, bensì vengono distinti, per lo meno in corrispondenza del margine interno attivo dell’avanfossa, due grandi cicli evaporitrici, un Ciclo Inferiore ed un Ciclo Superiore, separati da una deformazione tettonica inframessiniana. Quindi, nell’ambito della classificazione dei vari elementi costituenti la Serie, oltre a riconoscere valide le diversità dovute a contesti paleogeografici distinti(sostanzialmente Zone Marginali e Zona di Bacino), vengono oggi individuati, in gran parte dell’isola, due periodi sostanzialmente diversi di deposizione.
Gli elementi costitutivi la Serie, poggiati sopra il Tripoli, si differenziano in relazione al riferimento paleogeografico(Marginale ovvero di bacino). Infatti nelle zone Marginali, al tripoli, si sovrappone il Calcare di Base, mentre, in corrispondenza delle aree di bacino, sul Tripoli, ovvero dimettente sulla facies Tortoniana, poggiano nell’ordine, i Gessi di Cattolica Eraclea, eventuali Torbiditi Gessose(soprattutto nelle aree di Transizione), una Breccia anidritico- marnosa, la formazione Salina; tutti i predetti elementi fanno parte del Ciclo Evaporitico Inferiore; in entrambe le Zone, Marginale e di Bacino, la Serie è poi completata dal Ciclo Evaporitico superiore costituito da Calcareniti gessose e da Gessareniti grossolane discordanti ed, infine, dai gessi di Pasquasia. In discordanza, si sovrappongono i Trubi, con il sottopiano basale di Arenazzolo, che segnano il ritorno alle deposizioni pelagiche.
Il Calcare di Base, classico deposito di acque basse per riconoscimento pressoché unanime, è costituito da un’alternanza di marne, strati di calcilutite e brecce farinose.
Più volte è stato scritto che la mineralizzazione solfifera trova spesso la sua sede naturale nel calcare vacuolare e spugnoso. Quest’assunto, tuttavia, non deve indurci a pensare, erroneamente, che lo Zolfo si sia depositato contestualmente al calcare di base in seno allo stesso, separandosi in qualche maniera dalle sovrastanti acque basse. Non esiste reazione chimica che possa giustificare una simile genesi dello Zolfo Siciliano. Allora viene spontaneo chiedersi da dove provengano tutte queste diffuse mineralizzazioni a Zolfo, nell’ambito di varie facies della serie. D’altra parte, non devono confondersi il calcare di base(evaporitico) con il calcare solfifero proveniente, insieme all’Idrogeno Solforato, dalla riduzione dei Solfati. La minerogenesi dello Zolfo è, infatti, successiva alla deposizione dei solfati(Gessi e Anidriti); anzi, proprio dalla riduzione, ad opera di carbonio organico, di tali Solfati, già in posto ovvero ancora presenti nel bacino di sedimentazione, deriverebbe la formazione di grandi quantitativi d’idrogeno Solforato. Tale processo di riduzione, per come dimostrato da recenti studi basati sulle variazioni della distribuzione isotopica degli elementi(S,C ed O),sarebbe stato sicuramente facilitato, sotto il profilo energetico, da colonie di batteri solfato- riducenti, in assenza dei quali la stessa reazione sarebbe avvenuta in modo pressoché insignificante.
Successivamente, per mutate condizioni ambientali, l’idrogeno solforato sarebbe stato ossidato a zolfo, per probabile mescolamento con acque superficiali ricche d’ossigeno.
Le varie ricostruzioni paleo – geografiche ipotizzate per il Messiniano, lasciano intendere la discontinuità che caratterizzava la distribuzione orizzontale dei primi elementi della serie (Tripoli e Calcare di Base); tale discontinuità è da relazionare alle diverse profondità delle acque della sequenza di bacini presenti nella Sicilia centro- meridionale in quel periodo. Pertanto, con ogni probabilità, furono queste discontinuità, già nella fase iniziale della deposizione messiniana, a determinare la genesi di orizzonti successivamente mineralizzati a Zolfo (zone marginali e di cerniera), piuttosto che la deposizione di Sali (area di bacino); i successivi eventi tettonici, di smembramento e di dislocazione, unitamente all’azione erosiva delle acque e di carreggiamento, hanno ulteriormente incrementato la già originaria discontinuità e non sistematicità della Serie, lasciando tuttavia quasi sempre vicine le aree mineralizzate a Zolfo con quelle mineralizzate a Sale.
Nella concessione Trabonella, entro la quale la formazione mineralizzata è stata accertata per una lunghezza di direzione di almeno due chilometri; la stessa formazione presenta la seguente stratigrafia, da muro a tetto. A contatto diretto con il Tripoli si trova uno strato, ricco di noduli di calcare siliceo a struttura vetrosa, compatta e durissima, (manca qui il calcare concrezionato presente invece a Gessolungo e Testa secca). Tale strato, presente in tutta la formazione esplorata e potente fino a qualche metro, non è uniformemente mineralizzato a Zolfo e, talvolta, contiene Idrogeno Solforato e/o Grisou in corrispondenza d’improvvisi isterilimenti. E’ noto col nome di Quarto Strato.
Un partimento d’argilla gessosa, di spessore variabile fino a qualche metro, prepara il passaggio verso l’alto al successivo strato, a struttura zonata, caratterizzato dall’alternanza di straterelli di Celestina (Solfato di Stronzio), Zolfo puro e calcare concrezionato. Tale strato è noto con il nome di Soriata.
Un ulteriore partimento argillo – gessoso contenente noduli di gesso cristallino e gesso a ferro di lancia, dallo spessore fino ad un metro, prepara al successivo strato mineralizzato noto come Burga. Potente fino a sei metri, questo strato ha struttura fogliettata, poco compatta e contiene intercalature di argilla marnosa. Ancora un modestissimo partimento tufaceo (di argilla bituminosa) procedendo verso l’alto, separa dal successivo strato detto Bianca. Potente mediamente tre metri, questo strato di colore bianco chiaro e struttura cavernosa è caratterizzato alla presenza di geodi calcaree tappezzate di minuscoli cristalli di Zolfo e di Calcite.
Al di sopra della Bianca vi è il Polmonigno, uno strato leggero e spugnoso d’argilla marnosa contenente noduli d’ossido di ferro e, di tanto in tanto, mineralizzata a Zolfo. Procedendo verso l’alto si ha lo strato detto Calcinara, in genere scarsamente mineralizzato ma, talvolta, ricchissimo. Potente fino a due metri, questo strato precede un enorme pacco di tufo, spesso fino a dieci metri, che lo sovrasta. L’enorme continua spinta verso il basso, nonché il calore sviluppato dall’ossidazione del bitume che turbava il regime di ventilazione, hanno reso difficile la coltivazione della Calcinara.
Uno strato di gessetti fogliettati ed argillosi precede infine la lente mineralizzata nota come Strato Ferrioli, una lente gessosa ricca di Zolfo che passa superiormente ai Trubi. Purtroppo non ha interessato la miniera in tutta la sua profondità, scomparendo al di sotto del 5°livello.
Michele Brescia
Fabio Orlando Editore
Il versante occidentale di Monte Capodarso, con alla base le strutture della Miniera Giumentaro. A sinistra sulla riva opposta dellImera, la Miniera Trabonella.
Il profilo di Cozzo Bersaglio, con evidenti i calanchi di Piana dei Meloni ove la pianura si distende.