La storia delle zolfare, che tanto ha interessato gli economisti ed i sociologi, trova in quest’opera una testimonianza che vuole essere solo umana, e quindi vera, costruita attraverso i ricordi di un protagonista, che rivive un’esperienza forte che in lui ha lasciato il segno.
Miniera Gessolungo di Caltanissetta come si presenta oggi – Foto di Vincenzo Santoro
Quando la storia è guardata al microscopio, nascono opere come quella di M. Zurli, in cui la cronaca diventa documento umano, la fatica di vivere "epico eroismo", la morte elegia che vince il silenzio del tempo.
I ricordi familiari si intrecciano a quelli del lavoro in miniera, i nomi dei luoghi sono camuffati, o per meglio dire foneticamente "parafrasati", il tutto per sganciare dalla fredda cronaca episodi e figure che hanno una dimensione principalmente umana, anche se un accenno di contestualizzazione è presente nel VII capitolo, dove si parla di giochi politici e di lotte sindacali, la cui trattazione è demandata agli studiosi di storia.
Mario Zurli vuole soltanto farci partecipi della sua umana esperienza, usando un linguaggio assolutamente scarno ed essenziale, privo di retorica e di qualsiasi forma di adescamento letterario, e proprio per questo suscettibile di grandi risonanze sentimentali in ognuno di noi.
Solo in qualche pagina l’autore si abbandona all’effusione sentimentale, come quando, alla fine del VII capitolo, sul colle di San Micheluzzo i fantasmi dei compagni morti, che la sua fantasia nostalgica suscita, vengono affiancati dalla "soave" figura della morte: è una sorta di catarsi, che esorcizza la pietà dolorosa e la trasforma in melanconica elegia.
Emergono nella narrazione episodi narrati con laconica semplicità, a volte anche con senso umoristico, figure di uomini scolpite con l’accetta; il mondo della miniera è un universo palpitante, dove tutti gli esseri viventi hanno una loro collocazione, anche le bestie più umili, come il topo, inconscio amico del minatore.
L’atteggiamento del minatore, umile "eroe", non è di ribellione, ma di atavica rassegnazione, che non è, però, fatalismo allo stato puro, ma piuttosto indiscusso attaccamento al dovere, che somiglia a quello del militare di carriera, come si può, ad esempio, rilevare nell’episodio intitolato "Il guardiano" nel IV capitolo, dove ‘u zi Sariddu, andando oltre le disposizioni ricevute, rimane per tre giorni a digiuno a guardia delle attrezzature affidategli. Anche l’uso del cognome preposto al nome contribuisce a creare questa atmosfera di disciplina militare.
In appendice il libro presenta una raccolta di documenti, stralci di quotidiani e fotografie, che rappresentano l’ancoraggio di episodi e figure della narrazione alla cronaca, che resterebbe fredda ricostruzione se non fosse da essi illuminata.
Mario Zurli non si è limitato a far rivivere nella sua opera un mondo ormai scomparso, ma attualmente egli è presidente dell’Associazione Amici della Miniera, che ha in progetto, con la collaborazione del Comune di Caltanissetta, di trasformare le zolfare abbandonate in musei, che siano monumento al lavoro umano, vibrante testimonianza di doloroso sacrificio, monito perenne contro lo sfruttamento operato da una società dominata dalla spietata logica del profitto e sorda ai valori della solidarietà.