Banalizzare i fatti di cronaca attraverso i generi cinematografici nasce dalla cultura americana. Da pochi anni il fenomeno di spettacolarizzazione degli eventi si sta diffondendo in Italia. Il genere televisivo diventa uno specchio, il termometro con cui è possibile misurare la temperatura dei problemi sociali. La televisione è anche in grado di produrre la realtà.

Una scena buffa tratta del film

Una scena tratta del film

Riveste ruolo quello dell’"avevo detto io", ma – in fondo – degno di un vero controcorrente. Vi ricordate – è difficile le polemiche sono come il vento vanno e vengono senza far danni – la polemica dello scorso controcorrente sul mafia tour?

Bene, come volevasi dimostrare, gli americani – gli eterni, cattivi, bravissimi americani – hanno subito organizzato – quasi in tempo reale – un tour dei luoghi del delitto Versace. Ma non basta perchè nel frattempo hanno cominciato a girare un film sull’omicidio dello stilista italiano.

E con questo arriviamo all’argomento dell’attuale controcorrente. Sui tempi, gli americani, noi non possiamo proprio batterli. D’altronde gli instant book li hanno inventati loro.

Ma sui modi qualche chance ce l’abbiamo. Prendete il film dell’ultima polemica nazionale – Tano da morire – per girarlo ci sono voluti tre anni – altro che instant book – ma una verve comica così dove la trovate in un musical americano. E infatti la polemica questa volta si è incentrata proprio sul tono scelto per il film. Un tono scanzonato che nasce dalla commistione dei generi: sceneggiata più avanspettacolo, rap e samba, techno con "sciuri sciuri".

Le opposte linee del contrappunto polemico si possono così delineare: da una parte chi dice che non è ancora tempo di ridere della mafia, dall’altra chi – come Caponetto – afferma che mettere in scena i suoi ridicoli riti d’iniziazione rende evidente il suo arcaicismo per le nuove generazioni.

E qui il discorso vira sulla modernità, concetto forte che tutto mescola e riduce a spettacolo: è giusto banalizzare le tragedie? E’ questa la grande domanda che sottende la polemica. Roberta Torre, la giovane regista, si fa forte di una lunga storia di spettacolarizzazione del crimine che risale all’"Opera da tre soldi" per giungere al "Padrino" attraverso "Bulli e pupe", la sceneggiata napoletana, i film di Franco e Ciccio fino a "Johnny Stecchino" di Benigni.

D’altronde, aggiunge, non si può ridere solo delle cose sacre e tocca, forse inconsapevolmente, la vera corda di questa polemica: l’intoccabilità della mafia, una storia intessuta di dolore, l’incapacità di elaborare il lutto delle nostre tragedie. Vogliamo provare, anche noi, a banalizzare dicendo che forse a Napoli c’erano meno faide finchè il lutto veniva sceneggiato.

Ma questi sono paragoni arditi, atteniamoci alle parole di Orlando, sindaco di Palermo, che, crediamo, ha qualche esperienza di uso della psicologia di massa e delle tecniche di persuasione per creare un clima post mafioso. Il sindaco, che non a caso ha anche deliberato un piccolo contributo di cinquanta milioni per la produzione del film, afferma che il passaggio dalla negazione della mafia alla partecipazione a un grande sfotto’ sui suoi riti è un salto tanto grande per la gente della Vucciria da poterlo definire una vera e propria rivoluzione culturale.

D’altronde è la cultura la grande arma propagandistica che Orlando sta usando per cambiare la mentalità della sua città operando, così, un vero e proprio prosciugamento dell’humus ideologico in cui prospera il pensiero mafioso.

Una rinascita culturale dell’isola in cui s’inserisce perfettamente il film di Roberta Torre che, infatti, è richiestissimo dai distributori siciliani: lo vogliono a Mazara del Vallo e a Bagheria, da Terrasini a Porto Empedocle, insomma dovunque è un grande successo. Forse perchè il pubblico s’identifica in una storia vera, anche se raccontata in maniera completamente non verista, quella di un piccolo boss della Vucciria vittima nel 1988 di una guerra tra bande.

Altro sicuro motivo di successo la partecipazione verace di tutti attori non professionisti che nel film sembrano rifare se stessi, anche se nella caricatura estrema, il pubblico – forse – si ritrova in quelle facce, in quei gesti, in quelle taglie completamente mediterranee, altro che improbabili e longilinei attori professionisti, questa è gente vera con tic e metamorfosi inverosimili.

Insomma dopo tante polemiche godiamoci il film con le sue musiche appositamente composte da Nino D’Angelo e i suoi balletti da marciapiedi. Il tutto in attesa del prossimo film annunciato dalla regista su una vera maga ottantenne palermitana che compie riti per evocare parenti in galera o scomparsi per lupara bianca.
Lei getta sassi nel fiume Oreto per comunicare con i suoi morti. La Torre – anche – getta sassi, ma nella palude conformista del cinema e del perbenismo italiano.

di Tommaso Capezzone
Controcorrente

una celebre scena del film

una scena del film