Il motivo principale della colonizzazione greca in Sicilia fu l’agricoltura. Maggiore era la produzione dei cereali, ortaggi, dei fichi, i prugni, i peri, i castagni, i melograni, i cotogni e i mandorli. Le colture più diffuse in assoluto erano quelle della vite e dell’olivo.
Il Parnaso è un affresco di Raffaello. La scena è una rappresentazione del monte Parnaso, che secondo la mitologia greca è la dimora delle Muse.
Un’altra attività di rilievo era la pastorizia, l’allevamento del bestiame e l’industria del legname.
Il movimento migratorio dei greci verso l’Italia e la Sicilia fu mosso essenzialmente da necessità disfruttamento agricolo. Essi cercavano, infatti, condizioni simili a quelle della madrepatria per potervi impiantare le stesse colture quali cereali, vite e olivo.
Ma se l’ambiente era simile, le dimensioni e la geografia erano diverse e l’ampiezza degli spazi adatti alla coltivazione era – per i greci abituati a conquistarsi duramente i propri prodotti – una vera e propria manna del cielo.
Le colonie, perciò, ebbero velocemente un rapido sviluppo e una grande espansione. Esse raggiunsero in breve tempo un ottimo livello di benessere che consentì la costruzione di grandi opere pubbliche.
Fu importante anche il rapporto, a volte di scambio a volte di contrapposizione, con popolazioni locali spesso ben strutturate.
Le colonie si trovarono inoltre a dover affrontare problemi diversi di quelli della madrepatria e connessi alle proprie caratteristiche, quali l’irrigazione e l’organizzazione di grandi estensioni coltivate.
Tutto ciò alla lunga fu l‘humus che contribuì a creare le premesse perchè in queste colonie si sviluppassero grandi conquiste della tecnica e del pensiero e una vita quotidiana ricca e cosmopolita.
Ma torniamo al motivo principale della colonizzazione greca: l’agricoltura. Per il tipo di terreno e le necessità della popolazione la produzione maggiore era quella dei cereali, in particolare dell’orzo che costituiva l’alimento abituale dei greci.
Data la grande ricchezza d’acqua era abbondante anche la produzione di ortaggi. Ad essa erano addetti coltivatori specializzati chiamati rhaphanoroi.
Le colture di frutta più diffuse erano i fichi, i prugni, i peri, i castagni, i melograni, i cotogni e i mandorli. Ma le colture più diffuse in assoluto erano quelle della vite e dell’olivo. In effetti l’olivo non era autoctono e non si conosce l’epoca della sua importazione. Teofrasto raccomanda per un buon rendimento di proteggerlo dai venti, in particolare quelli marini.
La vite era ancora più diffusa e i vini erano molto celebri. Infatti il nome Oinotria, che i greci diedero alla fascia interna dell’Italia, quella collinare, vuol proprio dire terra del vino. Le viti erano coltivate a pergola o a spalliera, come d’altronde ancora si usa nell’Italia meridionale.
Non tutta l’uva coltivata serviva per il vino, i grappoli piu’ belli venivano messi a seccare nelle officine dei fabbri per produrre l’uva secca che ancora si mangia nei periodi natalizi.
Si praticava l’affitto dei campi e l’affittuario era tenuto alla buona conservazione dei canali d’irrigazione, ma non poteva nè modificarli con dighe e argini nuovi, nè ingrandirli. Doveva inoltre ripiantare tutte le piante che si fossero seccate, non poteva tagliare alberi e doveva scavare le buche e i rincalzi di terra intorno agli alberi da frutta oltre che provvedere alla loro potatura.
A fianco dell’agricoltura un’altra attività di rilievo era l’industria del legname in particolare a fini navali.
Il mestiere del falegname era tenuto in alta considerazione, infatti è uno dei pochi raffigurati in pitture vascolari.
Al Louvre, per esempio, e’ presente un cratere con raffigurato un falegname che taglia un tronco. Leonida dedicò ben due epigrammi al daidalocheir, uomo dalla mano abile, in cui descrive anche i suoi strumenti di lavoro.
Collaterali all’agricoltura erano la pastorizia e l’allevamento del bestiame. La pastorizia era, in prevalenza, esercitata dalle popolazioni autoctone. Ciò fu la causa principale degli iniziali attriti con i coloni greci, dato il naturale conflitto tra gli agricoltori stanziali – e i pastori sempre in cerca di nuovi pascoli.
Un allevamento molto diffuso era quello delle api, pratica redditizia perchè il miele era l’unico dolcificante dell’epoca. Esso era usato sia nell’acqua che nel vino e veniva, anche, mangiato col formaggio. Aveva, inoltre, un uso medicinale mescolato con l’aceto contro l’avvelenamento da funghi.
Il suo alto potere nutritivo era ben conosciuto dai pitagorici; Pitagora stesso, che era vegetariano, si nutriva spesso solo di miele.
Un altro allevamento di grande rilievo era quello dei cavalli. Insomma da questo piccolo quadro dell’economia e, in particolare, dell’agricoltura si delinea il ritratto di una società ricca, a volte opulenta, ben organizzata e in grado, quindi, di raggiungere quelle alte vette architettoniche e artistiche di cui abbiamo abbondanti tracce.
Tommaso Capezzone Aprile 1998
l’immagine della scena rappresenta la vita quotidiana greca.