Dopo l’arrivo dei Piemontesi la vita siciliana fù improntata ad una austera severità che risultò sgradita alle classi dirigenti abituate al fasto spagnolo, e fu avviata una politica di riforme per la costituzione di un apparato centralizzato di governo e la contestuale riduzione dei privilegi di cui godevano nobiltà e clero in campo economico è giuridico.
Anche i piemontesi Austriaci come prima gli Spagnoli, si posero il problema del pareggio del bilancio, ma, mentre i secondi si erano limitati ad appellarsi alla generosità dei sudditi, perchè venissero in soccorso del loro re, il nuovo sovrano progettò un piano di serio riordino finanziario esposto nel messaggio del re al parlamento (Austriaci con l’obiettivo di dare alla Sicilia il lustro di cui aveva goduto in tempi passati, legato alla sua posizione geografica, alla mitezza del clima, alla fecondità del suolo, alla operosità dei suoi abitanti.Le misure più numerose furono previste per l’economia, il cui sviluppo era considerato prioritario. Fu avviata l’attività di una cartiera con materie prime locali e fù fatta venire manodopera piemontese per avviare l’industria del vetro e migliorare la produzione della lana e della seta locali. Si cercò di introdurre contratti di lavoro analoghi a quelli vigenti in Piemonte, per mitigare il problema della disoccupazione urbana e dello spopolamento delle campagne; si ventilò la possibilità di ridurre l’estensione dei latifondi per creare fattorie di media grandezza.L’Università di Catania fu arricchita di donazioni e di nuovi professori, mentre la città di Messina fu riportata all’antica dignità con un ruolo secondo solo a quello di Palermo.
Rientrava in tale piano la riduzione del personale dei vari uffici con licenziamenti definitivi e sostituzione dei siciliani con funzionari piemontesi meno pagati e più efficienti. Quest’ultima misura suscitò il risentimento dei Siciliani, che si sentivano tacciati di inefficienza e corruzione.L’impatto con l’ambiente isolano fù negativo e contrari ai tratti riformatori della politica piemontese furonoil clero e l’aristocrazia, che si rifiutavano di accogliere l’idea dell’istituzione di un catasto dei terreni, preannunciata dal progetto di tassa sugli alberi. Il vicerè Maffei ebbe mandato di sorvegliare che i baroni non fossero troppo uniti, ma il colpo di grazia venne ai Piemontesi dallo scontro con il papa.