Alla fine della guerra l’industria zolfifera dovette affrontare una grave crisi causata dalla concorrenza americana, che tolse alla Sicilia molti mercati europei. Le tre società che in USA rappresentavano l’industria zolfifera diedero infatti vita alla “Sulphur Export Corporation” (SULEXO) e migliorarono i metodi di estrazione, sì da renderli più economici e da abbassare i costi di produzione.

Ingranaggio di un macchinario in evidente stato di ossidazione della miniera Gessolungo di Caltanissetta

Ingranaggio ormai ossidato di un macchinario della miniera Gessolungo di Caltanissetta – Foto di Vincenzo Santoro

La favorevole situazione creata dalla guerra per lo zolfo siciliano ed i provvedimenti legislativi del governo avevano consentito agli esercenti di realizzare congrui profitti, ma non avevano migliorato le condizioni della produzione. Le attrezzature tecniche delle miniere rimasero arretrate e la manodopera, peraltro scarsa, fu tutta impiegata per un intenso sfruttamento delle miniere, il cui miglioramento era, inoltre, ostacolato dalla carenza di materiali. Alla fine della guerra l’industria zolfifera dovette, in tali condizioni, affrontare una grave crisi causata dalla concorrenza americana.

L’unico beneficio duraturo che l’industria zolfifera trasse dai profitti di guerra fu l’istituzione dell’ "Ente autonomo per il progresso tecnico ed economico dell’industria zolfifera", avvenuta il 31 agosto 1919. L’Ente ebbe un patrimonio di lire 8.960.835, che rappresentavano il 35% degli utili ricavati durante la guerra, per effetto del cambio, dalle vendite di zolfo fatte dal Comitato permanente dello zolfo, istituito nel 1917 e abolito nel 1919. Esso svolse un’attività proficua nei confronti dell’industria zolfifera ed il suo merito principale fu l’elettrificazione delle zolfare iniziata nel 1926.

Nel 1918 scadeva il termine dei primi 12 anni di vita che la legge aveva stabilito per il Consorzio e la maggior parte dei produttori ne chiese una proroga di altri 12 anni. I raffinatori siciliani, che si sarebbero avvantaggiati di una eventuale discesa del prezzo dello zolfo, suggerivano la creazione, proposta, peraltro, dall’economista L. Einaudi, di un consorzio libero sotto il controllo della Montecatini, che aveva rilevato l’esercizio delle miniere Bosco, Gallitano e Grottacalda e che ormai controllava tutto il settore della raffinazione, avendo rilevato il pacchetto di maggioranza dell’"Unione Raffinerie Siciliane", che dal 1915 raggruppava tutti i raffinatori siciliani e aveva una capacità produttiva di 80.000 tonn. annue. Il capitalismo industriale moderno si scontrava con il conservatorismo della classe agraria isolana e ne usciva sconfitto, infatti la durata del Consorzio fu prorogata fino al 1930.

Il bilancio dei primi 12 anni di attività era senza dubbio positivo, infatti il Consorzio aveva salvato l’industria zolfifera dalla crisi, che inevitabilmente sarebbe seguita allo scioglimento dell’"Anglo-Sicilian"; aveva reso possibile in regime consortile la conclusione di accordi con la concorrenza americana, difficilmente conseguibili in regime di libertà; aveva equilibrato consumo e produzione; aveva mantenuto stabili e remunerativi i prezzi; aveva reso regolari i pagamenti ai produttori; aveva regolato l’attività di magazzinieri, esportatori, sborsanti, che prima erano dei veri parassiti dell’industria; aveva reso possibile il finanziamento dell’industria zolfifera nei momenti di crisi. A sostegno della necessità di prolungare la vita del Consorzio aveva avuto un ruolo decisivo la minaccia della concorrenza americana che, dopo lo scioglimento degli accordi nel 1913, era stata scongiurata dallo scoppio della guerra, ma che si ripresentava minacciosa alla sua fine e che solo in regime consortile era possibile fronteggiare stringendo accordi.

Tra le disposizioni che prolungavano la durata del Consorzio una importante innovazione riguardava i compiti della Banca di Credito Minerario, che avrebbe concesso, oltre alle anticipazioni sugli zolfi depositati, prestiti e mutui agli esercenti ed ai lavoratori che intendessero aprire nuove miniere o riprendere lo sfruttamento di giacimenti abbandonati. Con questa disposizione il governo intendeva venire incontro alla piccola industria sempre a corto di capitali.

Altre importanti provvidenze riguardavano le condizioni di lavoro degli operai: organizzazione a spese del Consorzio di posti di soccorso presso le miniere; obbligo per gli esercenti del rifornimento gratuito di acqua potabile ai minatori; costruzione di spogliatoi ed alloggi debitamente ventilati ed arredati per gli operai che non potessero trovare alloggio nel raggio di 5 km dalla miniera.

Miglioramento delle condizioni di lavoro della manodopera e miglioramento del credito ai produttori erano due mezzi sui quali il governo puntava per incrementare la produzione. Ma la questione più importante riguardava l’esigenza della modifica del regime minerario fondiario vigente, limitatamente alle miniere di zolfo, in Sicilia, Toscana, Emilia, Romagna, Liguria. Nonostante le numerose iniziative parlamentari, la nuova legislazione mineraria giunse in porto soltanto nel 1927.

Alla fine della guerra, cessate le condizioni favorevoli allo smercio dello zolfo per la fabbricazione di esplosivi, si ripresentò lo spettro della concorrenza americana che, con la discesa dei noli e dei cambi, tolse alla Sicilia molti mercati europei. Le tre società che in USA rappresentavano l’industria zolfifera, cioé la "Texas Gulf Sulphur Company", la "Freeport Sulphur Company", la "Union Sulphur Company", si erano unite in cartello, avvalendosi della legge Webb-Pomerene, che, in determinate condizioni e forme, agevolava le coalizioni commerciali, purché finalizzate all’esportazione di prodotti statunitensi. La nuova società, che prese il nome di "Sulphur Export Corporation" (SULEXO) ed aveva sede a New York, esportava gli zolfi prodotti dalle tre società, la cui produzione era di circa 1 milione di tonnellate di zolfo l’anno, mentre la Sicilia ne produceva appena 200.000. Inoltre la Sulexo aveva migliorato i metodi di estrazione, sì da renderli più economici e da abbassare i costi di produzione.

L’industria siciliana era, invece, rimasta arretrata sotto il profilo tecnologico e con carenza di manodopera, che avrebbe dovuto essere attirata con più alti salari e miglioramento delle condizioni di lavoro per distoglierla dal prendere la via dell’emigrazione. Abbassare il prezzo dello zolfo per combattere la concorrenza americana era impossibile, dati gli alti costi di produzione, e della situazione si avvantaggiarono i raffinatori, dato che l’America esportava soltanto zolfo grezzo ed essi potevano acquistarlo a prezzi assai convenienti. Alcuni esercenti, per sfuggire alla rovina, si associarono all’industria della raffinazione, ma poterono farlo soltanto quelli che disponevano di capitali, quindi solo la grande industria zolfifera potè superare la crisi, la piccola e la media dovettero soccombere.

Sarebbe stato opportuno che il Consorzio stesso provvedesse a raffinare gli zolfi, in modo che tutti i consorziati se ne avvantaggiassero, ma il Consorzio era nato per vendere lo zolfo non lavorato, quindi non poteva raffinare gli zolfi senza una modifica della legge istitutiva. Da più parti si invocavano disposizioni legislative in tal senso, ma i raffinatori premevano per la difesa dei loro interessi.

Nell’esercizio 1922 – 23 la produzione scese a 100 tonnellate e gli esercenti decisero di diminuire del 20% il salario degli operai, scatenando le loro giuste proteste, dal momento che nel periodo bellico, che aveva dato larghi profitti, i salari non erano stati aumentati. Gli esercenti chiedevano che, sull’esempio del governo britannico, lo Stato integrasse il salario dei minatori delle zolfare, mantenendo, così, inalterati i salari; chiedevano, inoltre, sgravi fiscali e la riduzione degli estagli. Gli istituti sovventori, intanto, ad eccezione della Banca mineraria, sospesero ogni finanziamento al Consorzio.

La situazione precipitò fino al punto che gli esercenti non furono più in grado di pagare i salari agli operai ed attuarono la serrata delle miniere, gettando nella miseria 15.000 minatori. Le proteste operaie nei centri zolfiferi si moltiplicarono al grido di "pane e lavoro", minacciando di esplodere in maniera violenta. I componenti del Consiglio di Amministrazione e del Comitato dei delegati del Consorzio rassegnarono le dimissioni e il governo affidò la reggenza di esso al commissario Ernesto Santoro, che rimase in carica fino al 1930.

Giunsero, intanto, provvidenze finanziarie governative con il R.D. 11 gennaio 1923 n. 202, che autorizzava il Consorzio ad emettere obbligazioni garantite dallo Stato, per un valore massimo di cento milioni di lire, da rimborsarsi entro nove anni, allo scopo di pagare i debiti contratti con gli istituti sovventori e di riprendere a pagare gli zolfi ai consorziati. Una serie di disposizioni contenute in questo decreto ponevano a carico della produzione futura la liquidazione del passato e ipotizzavano una ripresa dell’industria zolfifera che aveva, però, bisogno di opportuni provvedimenti per realizzarsi.

Ad alleggerire la situazione giunse provvidenziale un accordo firmato a Roma nel marzo 1923 tra il commissario governativo del Consorzio e la concorrenza americana, rappresentata dalla SULEXO. Secondo tale accordo il mercato italiano fu riservato alla produzione italiana, quello dell’America del Nord alla SULEXO. Gli altri mercati furono così suddivisi: il 75% delle vendite annuali fu assegnato alla SULEXO, il 25 % al Consorzio, comprendendo in tale quota la produzione zolfifera del Continente, che era molto esigua e che il governo italiano volle fosse inclusa nell’accordo. Il Consorzio poteva esportare, oltre alla propria quota, 65.000 tonn. di zolfo a prezzi ridotti per la fabbricazione di acido solforico, e la quantità poteva anche essere superiore, previo beneplacito della SULEXO. La durata dell’accordo fu stabilita dal 4 ottobre 1922 al 30 settembre 1926, con la clausola che essa era automaticamente rinnovata per altri 4 anni, se non fosse stata denunziata da una delle due parti sei mesi prima della scadenza dell’accordo. Esso rimase in vigore per tutta la durata del Consorzio.

Dopo l’accordo la produzione di zolfo siciliano aumentò sensibilmente, e così pure aumentarono le vendite, sicché, oltre alla produzione annuale, si riuscì gradualmente a smerciare in quote lo stock invenduto ed a pagare i debiti contratti con le banche, che avevano corrisposto le anticipazioni sulle "fedi di deposito".