Il governo emanò una serie di provvedimenti che furono assai importanti per l’industria zolfifera

Locale devastato della miniera Trabonella di Caltanissetta

Locale devastato della miniera Trabonella di Caltanissetta – Foto di Vincenzo Santoro

Nonostante l’incremento della domanda di zolfo, l’aumento della produzione rimaneva modesto, dopo un iniziale incremento, e ciò sempre in dipendenza della carenza di manodopera, scoraggiata dai bassi salari, e dell’approfondirsi dei livelli di lavorazione, che richiedeva impegno di capitali per un miglioramento tecnico e per diminuire i costi di produzione.

L’integrazione verticale con l’industria della raffinazione era da molti ritenuta una soluzione opportuna; essa, prima dell’istituzione del Consorzio, era difficilmente attuabile per l’eccessivo frazionamento dei bacini minerari siciliani, infatti la raffinazione richiedeva impianti costosi, ampia disponibilità di materia prima, adeguati mezzi finanziari. Un esempio in tal senso era l’industria zolfifera della Romagna e delle Marche, che aveva sempre goduto di floride condizioni grazie alla sua integrazione con l’industria della raffinazione.

Il governo adottò questa soluzione con un provvedimento legislativo, il R.D. 7 maggio 1925 n. 648, che autorizzava il Consorzio zolfifero siciliano a lavorare direttamente o a far lavorare per proprio conto lo zolfo grezzo, a vendere direttamente o a far vendere per proprio conto lo zolfo lavorato, ed infine a partecipare ad aziende che avessero come oggetto la produzione o la vendita di zolfi lavorati.

Il Consorzio preferì quest’ultimo sistema e il 20 aprile 1925 si costituì a Catania la società F.O.R.Z.A. (Federazione Opifici Raffinerie Zolfi Affini), di cui facevano parte tutte le raffinerie siciliane di zolfo. Essa stipulò un accordo con il Consorzio, in forza del quale alla società spettava l’esclusiva della lavorazione degli zolfi italiani, al Consorzio spettava la metà degli utili netti derivanti annualmente dalla vendita degli zolfi lavorati dalla F.O.R.Z.A. In caso di perdite esse erano a totale carico della società.

La durata del contratto fu stabilita dal 1° agosto 1925 al 31 luglio 1930 ed esso non fu rinnovato alla scadenza, poichè non si raggiunse l’accordo tra le parti. Questo accordo era senza dubbio proficuo, ma esso fu aspramente criticato, perchè il Consorzio avrebbe avuto un guadagno maggiore se avesse lavorato direttamente o fatto lavorare per proprio conto gli zolfi grezzi. L’accordo era senza dubbio vantaggioso per la F.O.R.Z.A., che si assicurò l’assoluto monopolio della lavorazione degli zolfi e che realizzò cospicui guadagni.

Di essa erano partecipi per 3/5 gli industriali zolfiferi del Continente, che riuscirono sempre ad esercitare una notevole influenza sul Consorzio zolfifero, mercè le forti pressioni esercitate sugli ambienti ministeriali, nonostante l’esplicito divieto per raffinatori e soci di raffinerie di far parte degli organi amministrativi del Consorzio, contenuto nella legge istitutiva e ribadito in quella che ne prolungava la durata.

Un altro provvedimento importante adottato dal governo fu l’elettrificazione delle zolfare, affidata nel 1926 alla Società Generale Elettrica della Sicilia, che avrebbe abbassato i costi di produzione e ridotto il fabbisogno di manodopera. Essa fu portata a termine nel 1931 ed ebbe successo, infatti nel 1935 su 135 miniere attive usufruivano dell’elettricità 27 grandi miniere, che rappresentavano il 90% della produzione.

Terzo importante provvedimento fu l’istituzione presso il Banco di Sicilia, che assorbiva la Banca di Credito Minerario, di una sezione di credito minerario con capitale di 108 milioni, di cui la metà riservati all’industria zolfifera. Nonostante questi provvedimenti l’industria zolfifera non ebbe il tempo di riprendersi bene dopo la crisi del 1921-22, perchè sopraggiunse un’altra congiuntura sfavorevole nel 1926-27, quando la lire italiana ebbe una rivalutazione.

I prezzi dello zolfo, secondo gli accordi con l’America, venivano stabiliti in dollari, e la valuta estera, nei confronti della nostra lira rivalutata, presentava minore potenzialità di acquisto. Il prezzo reale dello zolfo subì, dunque, un diminuzione del 30%, solo in parte compensata dalla corrispondente diminuzione dei salari, degli estagli, delle tariffe ferroviarie e dei contributi di previdenza sociale, mentre il costo dei materiali occorrenti per la coltivazione delle miniere rimase invariato.

In questa occasione il Consorzio cercò di ottenere dalla SULEXO un rialzo del prezzo, ma non lo ottenne, perchè questo avrebbe avvantaggiato la concorrenza delle piriti, e la SULEXO vendeva ogni anno 2 milioni di tonnellate di zolfo per la fabbricazione di acido solforico in concorrenza alle piriti. L’industria zolfifera non riuscirà a risollevarsi più fino allo scioglimento del Consorzio, dato che alla crisi del 1927 ne seguirà un’altra a breve distanza.