Il secolo XX segnò al suo inizio il periodo più fiorente dell’industria zolfifera siciliana; successivamente inizierà la sua decadenza, che, pur intercalata da momenti di ripresa, continuerà ininterrottamente.

Interno abbandonato di un capannone della miniera Gessolungo di Caltanissetta

Interno di un capannone abbandonato della miniera Gessolungo di Caltanissetta – Foto di Vincenzo Santoro

La produzione di zolfo della Sicilia veniva collocata solo in minima parte in Italia, mentre la maggior parte, circa i 4/5, veniva esportata all’estero sotto forma di zolfo grezzo o di zolfo lavorato. I paesi verso cui si dirigeva l’esportazione erano: Austria, Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Russia, Portogallo, Svezia, Indie Britanniche, Indie Olandesi, Finlandia.

In Italia il consumo di zolfo era minimo, data la sua scarsa industrializzazione rispetto ad altri paesi europei più progrediti, e quello scarso quantitativo era prelevato dalle miniere continentali della Romagna e delle Marche, data la loro vicinanza ai luoghi di consumo sia per l’industria che per l’agricoltura.

Fino al 1904 la Sicilia ebbe il monopolio naturale dello zolfo anche in rapporto al mercato estero, contribuendo alla produzione mondiale per il 91%. Questa vantaggiosa condizione le consentì di prosperare, nonostante le sue carenze strutturali ed organizzative legate al regime giuridico fondiario, alla organizzazione produttiva ed a quella commerciale.

Tali carenze si evidenziarono in termini drammatici quando negli Stati Uniti furono scoperti vasti giacimenti di zolfo nella Louisiana e nel Texas, dove lo zolfo si trovava quasi allo stato puro, in cunicoli sotterranei, originato, probabilmente, dal naturale riscaldamento di rocce calcareo-solforose, da cui sarebbe derivata la fusione dello zolfo accumulatosi nei cunicoli. L’estrazione era fatta con il metodo brevettato dal chimico tedesco Hermann Frasch, con cui lo zolfo veniva fuso direttamente nei cunicoli con l’immissione di acqua surriscaldata ad alta pressione ed estratto con una purezza superiore al 99,5 %. Il metodo era molto economico e la sua applicazione era impossibile in Sicilia per le differenti condizioni geologiche.

L’industria zolfifera siciliana, in seguito alla scoperta dei giacimenti americani, subì un duro colpo, sia per l’ingente quantitativo di zolfo offerto sul mercato, sia per il basso costo della produzione americana (3,68 dollari, pari a 18,43 lire circa per ogni tonnellata di zolfo, mentre il costo di produzione di una tonnellata di zolfo siciliano era di 35,76 lire circa). Essa, se non era in grado di abbassare i suoi costi di produzione sino al livello di quelli americani, doveva per lo meno organizzarsi in modo da garantirsi la sopravvivenza. Il primo organismo che in America si occupò dell’estrazione dello zolfo nella Louisiana fu la "Union Sulphur Company", creata nel 1895, che già nel 1912 assorbì tutto il mercato dell’America del Nord. Essa si espanse anche in Europa e nel 1909 installò a Marsiglia una raffineria, gestita da una società affiliata, ad Amburgo ed a Rotterdam istituì importanti depositi di zolfo, da cui venivano rifornite la Germania e l’Europa del Nord.

Nel 1911 si costituì una seconda società per l’estrazione dello zolfo del Texas, la "Freeport Sulphur Company", e successivamente, nel 1917, se ne costituì una terza, la "Gulf Texas Sulphur Company". Nel 1922 le tre società si unirono costituendo un cartello con la forma di società anonima; nacque, così, la "Sulphur Export Corporation" (SULEXO) con sede a New York, avente per oggetto l’esportazione in comune degli zolfi prodotti dalle tre società.

La produzione degli U.S.A. era assai superiore a quella siciliana e minacciava di invadere non solo il mercato americano, ma anche quello europeo. In una relazione al Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio dell’ispettore delle miniere ing. L. Baldacci, inviato in U.S.A. dal governo italiano allo scopo di accertare l’entità della concorrenza americana, si legge che il giacimento americano avrebbe potuto dare più di 40 milioni di tonnellate di zolfo fuso, superiore per qualità allo zolfo siciliano (la produzione annua siciliana di quel periodo era di circa 500.000 tonnellate).

La situazione era molto grave ed una nuova crisi si annunziava per l’industria zolfifera siciliana, tanto più che con il 31 luglio 1906 scadeva il contratto con l’"Anglo-Sicilian" ed un suo rinnovo appariva improbabile data la situazione. L’"Anglo-Sicilian" si affrettò a stringere accordi provvisori con la concorrenza americana per il suo ultimo esercizio, al cui scadere aveva deciso di liquidare l’impresa, nonostante si fosse assicurata l’adesione di una parte assai cospicua dei produttori dell’isola. A determinare tale decisione furono la minaccia della concorrenza americana e le voci che correvano sulla probabile istituzione di un consorzio zolfifero, che rappresentavano due serie incognite per l’"Anglo-Sicilian".