Una ripresa del settore zolfifero si ebbe nel 1850, quando si scoprì l’efficacia dello zolfo nella viticoltura per curare l’oidium, una malattia parassitaria della vite importata dall’America del Nord, che devastava i vigneti europei.

Attrezzature in evidente stato di abbandono della miniera Gessolungo di Caltanissetta

Insieme delle attrezzature in evidente stato di abbandono – Foto di Vincenzo Santoro

Il metodo di solforazione delle viti come prevenzione e cura dell’oidium fece salire il livello dei prezzi e della produzione: nel decennio 1850-1860 l’esportazione aumentò da 80.000 a 114.000 tonn. ed il prezzo da 70 a 120 lire. L’esportazione era diretta, oltre che in Inghilterra e in Francia, dove era assai diffusa la coltivazione della vite, nell’America del Nord, in Olanda, in Germania, in Russia, in Austria. Cessavano, così, le condizioni di assoluta dipendenza dello zolfo siciliano dall’industria chimica anglo-francese: dal 92% delle esportazioni le quote di Inghilterra e Francia scesero rispettivamente al 39 ed al 27%.

L’espansione dell’industria e del commercio manifestatasi dopo la guerra di secessione negli Stati Uniti (1861-1865) e dopo la guerra franco-prussiana del 1870, la tranquillità sopravvenuta nel continente europeo dopo la disfatta francese, l’apertura del canale di Suez nel 1869, lo sviluppo della rete ferroviaria in tutti i paesi contribuirono sempre piu’ ad accrescere il consumo dello zolfo.

La produzione si avvantaggiò anche di innovazioni tecnologiche, quale la sostituzione del calcarone alla calcarella. Altra circostanza importante furono le migliorate condizioni di viabilità, in seguito all’ampliamento della rete ferroviaria italiana ed alla costruzione di strade rotabili comunali e provinciali.

A Caltanissetta sorse nel 1864 la prima scuola italiana per l’insegnamento di discipline minerarie e da essa uscirono capiminatori e periti minerari, che migliorarono il livello tecnico del lavoro nelle zolfare.

Con l’impianto delle ferrovie dopo il 1869 cessarono di godere di una rendita di posizione i porti di Licata, Porto Empedocle e Siculiana, più vicini ai luoghi di produzione, e si incrementò il traffico dello zolfo nei porti di Palermo e Catania, che si contendevano l’egemonia commerciale dell’area zolfifera. Catania uscì vincente dal confronto con Palermo e nel suo porto si concentrò dopo il 1880 la maggior parte del commercio dello zolfo. Il nuovo mezzo di trasporto fece scendere di circa 10 lire il costo di produzione di ogni tonnellata di zolfo ed aumentò notevolmente il volume del minerale spedito per ferrovia verso gli scali marittimi: 82.000 tonn. nel 1875, 240.000 nel 1881, 302.000 nel 1890, contro le 45.000 avviate su strada rotabile.

A Catania, che meritò l’appellativo di "Milano del Sud", proliferavano depositi, magazzini di spedizione e raffinerie, che confezionavano in "pani" il minerale e producevano acido solforico e concimi chimici. A Catania si formò una classe imprenditoriale in parte indigena, in parte straniera, ma in essa trapiantata, come gli Alonzo e i Consoli Marano, gli inglesi Trewella, i tedeschi Fog, i danesi Sarauw. Da Catania partiva il 40% dell’esportazione zolfifera totale e gli operai impiegati nel settore erano agli inizi del ‘900 quasi 2.000.

Negli anni successivi all’unità d’Italia gli zolfi siciliani rappresentarono una voce consistente della bilancia commerciale italiana, che l’esportazione dello zolfo forniva di valuta pregiata, necessaria per la crescita industriale del paese.