La storia della Sicilia austriaca comprende l’arco di tempo in cui la Sicilia fu parte dei domini della Casa d’Asburgo d’Austria, durando per circa 15 anni. la dominazione austriaca termina con Carlo di Borbone che la conquistò e restituì l’indipendenza alla Sicilia
Papa Benedetto XIII
Il 13 maggio 1720 fece il suo ingresso a Palermo il conte di Mercy, per ricevere l’omaggio da parte dei rappresentanti del regno di Sicilia. Il fatto nuovo era che l’isola era diventata austriaca "per conquista" e non per consenso o per patto, come era avvenuto con gli Aragonesi e gli Spagnoli, circostanza che dette agli anni della dominazione austriaca una fisionomia costituzionale assolutamente unica nella tradizione viceregia siciliana e che alimentò nei settori della magistratura e del clero l’aspirazione ad avere un re a cui i Siciliani volontariamente si sottomettessero. Il dato è di grande importanza storica, anche se non è stato oggetto di adeguata attenzione storiografica.
Il governo austriaco, pur praticando un fiscalismo di tipo spagnolo, con continue richieste di donativi e vendita di onorificenze e di diritti regali, continuò la politica di riforme iniziata dai Piemontesi. Essa era finalizzata al radicale cambiamento dell’organizzazione dell’economia siciliana, rafforzando il nuovo ceto di produttori e mercanti per affrancarsi dall’egemonia del baronaggio.
Gli Austriaci, consapevoli che la mancanza di opposizione da parte dei baroni e delle classi dirigenti non significava accettazione incondizionata dei nuovi governanti, adottarono nei loro confronti una politica che non urtasse la loro suscettibilità, ma che anzi ne sollecitasse le ambizioni, e alcuni baroni furono nominati principi del Sacro Romano Impero, mentre il sindaco ed i senatori di Palermo vennero riconosciuti "grandi di Spagna di prima classe".
L’intervento dello stato nella vita economica non fu limitato al prelievo fiscale, alle spese militari, alla gestione del debito pubblico, ma fu messa in atto una politica economica illuminata, che dette impulso a progetti di ricerca per migliorare la coltura del grano, dell’ulivo e del gelso, l’allevamento del bestiame, le manifatture tessili; accanto alle attività tradizionali furono introdotte nuove industrie (carta, sapone, vetro, ecc..) allo scopo di dare vita ad un reale sviluppo economico.
Dal momento che il grano siciliano non era più competitivo rispetto a quello prodotto nel Mediterraneo orientale, il governo stipulò contratti commerciali con i governanti di Tunisi, Tripoli ed Algeri, superando i pregiudizi religiosi, allo scopo di fare aumentare le esportazioni di grano siciliano e contemporaneamente scongiurare gli attacchi della pirateria barbaresca. Messina, il cui porto non era più frequentato come prima dagli stranieri, convinti che il mercato siciliano fosse poco vantaggioso, fu dichiarata zona di porto franco e le furono concessi privilegi e riduzioni di dazi portuali. Per attirarvi nuovi abitanti, fu promessa l’immunità per crimini commessi altrove. La flotta imperiale, che aveva approdo nel porto di Messina, ritornato ad essere il più frequentato della Sicilia, si occupava della commercializzazione dei prodotti siciliani.
Nei confronti della Chiesa cattolica gli Austriaci praticarono una politica di conciliazione, tanto che il papa Benedetto XIII nel 1728 restituì al regno di Sicilia la Legatia Apostolica ed il Tribunale della monarchia, annullando la bolla di Clemente XI del 1715, e lasciò libera di operare nelle questioni religiose l’Inquisizione spagnola.
L’efficacia delle riforme piemontesi prima e austriache poi è testimoniata dal miglioramento del tenore di vita, che perdurò fino agli anni ’40 del ‘700, dall’incremento demografico e dall’aumento significativo dell’età media, infatti l’incremento della produzione agricola, la severità delle misure annonarie, la maggiore sicurezza delle strade e dei trasporti, il riordino della finanza locale, l’oculatezza nella nomina dei funzionari, il miglioramento dei servizi (acquedotti ed ospedali) concorsero a determinare un generale miglioramento sociale e la crescita piuttosto rapida di una borghesia provinciale dai tratti culturali e politici avanzati.
Mentre Messina non prendeva adeguatamente coscienza di questi elementi di grande novità, legata com’era al suo "repubblichismo", e Palermo si limitava a riprendere, non senza qualche difficoltà, il suo ruolo egemone, Catania assunse una funzione in linea con il nuovo clima creato dalle riforme piemontesi ed austriache, e all’ideale dell’autonomismo baronale oppose quello della monarchia riformatrice, a cui guardava con consenso e partecipazione il ceto medio della provincia. Le vecchie rivendicazioni di autonomie municipali lasciavano il posto a una visione del potere centrale come efficiente motore dell’attività amministrativa ed assistenziale, accelerando i processi di unificazione culturale, linguistica e di costume.
Nonostante il loro governo illuminato, gli Austriaci non riuscirono a conquistarsi il consenso ed il sostegno della società siciliana, che il dominio spagnolo aveva reso tradizionalista e statica, e, quando nel 1734 le tensioni politiche internazionali, in seguito alla guerra di "successione polacca", determinarono un periodo di isolamento per l’Austria, la Spagna si affrettò ad effettuare una spedizione per riconquistare l’isola; alla notizia dello sbarco degli Spagnoli una delegazione di nobili palermitani si recò a dare il benvenuto al generale Montemar, che guidava le truppe. Non c’era mai stata ribellione contro gli Austriaci, ma neanche consenso diffuso, solo piccoli gruppi si erano fatti sostenitori della loro politica illuminata.