Non si può parlare del Castello di Pietrarossa senza fare riferimento alla città che lo ospita, Caltanissetta.
Castello Pietrarossa
Le prime notizie documentate sulla città si hanno a partire dal 1086, allorché il conte normanno Ruggero, figlio di Tancredi, conquistato il territorio occupato dai musulmani ed espugnatone il castello, fonda il priorato di San Giovanni e fa dono all’abbazia di Santo Spirito di numerose terre che erano addossate alle pendici della collina di Sant’Anna.
Il primo nucleo della città del castello di Pietrarossa giungeva alla contrada Zibili e all’Abbazia di Santo Spirito.
Pare che l’origine di Caltanissetta sia araba: ma è anche necessario affermare che la città, che si sarebbe sviluppata intorno l’anno Mille, si è sviluppata negli stessi luoghi dove molti secoli prima si erano insediati i Sicani ed ai quali avevano fatto seguito ai Greci.
Il mito la vuole legata ad una leggenda secondo la quale la città si sarebbe sviluppata intorno ad un castello (etimo arabo qua’at) abitato da uno stuolo di fanciulle (nisa ).
Tra le ipotesi del suo attuale nome alcuni mettono in evidenza la continuità storica con l’antica Nissa, luogo che si trova circa 4 chilometri a sud dell’attuale Caltanissetta, presso il fiume Imera meridionale, sulla collina di Gebel Habib, a 617 m di altitudine.
Anche se le ipotesi sull’origine dell’attuale nome sono diverse, ci aggrada che la giusta combinazione risulti dall’assemblaggio dell’etimo arabo Qal’at e del termine Nissa.
Non si hanno notizie storiche sulla data in cui gli arabi arrivarono nella zona, ma si sa che un certo Al-Abbas alla testa di mille cavalieri e settecento fanti, partiti una notte da Palermo alla volta di Enna per conquistarla (prendendo la strada meno diretta ma sicuramente più comoda), avessero fatto sosta prima nel territorio di Caltanissetta poi in quello di Pietraperzia per scegliere infine di accamparsi sulle rive del lago di Pergusa.
Era il 24 Gennaio dell’859, quando, dopo diciassette anni di dura lotta combattuta aspramente più dagli isolani, sostenuti dalla loro religione, che dall’esercito bizantino, Al-Abbas entrò in Enna. Quindi forse potremmo datare la conquista della città di Caltanissetta e del suo territorio non molto lontano da questa data.
Per la città nissena il periodo arabo fu certamente un momento storico importante.
Non ci fu in Sicilia un regno unitario arabo, ma una serie di signorie locali, retta dai Kaìd, che dapprima perseguitarono i cristiani pretendendone di far pagare la gézia, una sorta di tassa che ne consentiva la libertà di culto.
La Sicilia fu divisa amministrativamente dagli Arabi in tre ‘valli’: nel “Val di Manzara” per la zona centro-occidentale, mentre il territorio orientale fu diviso in “Val Demone” per la zona settentrionale e “Val di Noto” per quello meridionale.
Questa suddivisione, che si è protratta per lungo tempo, rispecchiava le diverse situazioni geografiche, economiche, e sociali dell’isola; essa era basata su elementi fisici naturali, sulle differenze degli assetti territoriali riconoscibili nel paesaggio e non su astratti confini amministrativi.
I fiumi Imera settentrionale e Imera meridionale , per la loro quasi continuità, hanno tracciato per la Sicilia, sfociando l’uno nel Mar Tirreno e l’altro nel Canale di Sicilia, come una frattura naturale in direzione nord-sud; dando così quasi origine alla formazione di due aree diverse sia per la storia che per stratificazioni antropiche. Non minore è la differenza tra la porzione settentrionale dell’isola e quella centro-meridionale.
La città di Caltanissetta fa parte del Vallo di Manzara, anche se la sua posizione geografica è quasi al limite con gli altri due Valli.
Tra le tante tracce che gli Arabi hanno lasciato nel territorio nisseno, riconosciamo i numerosi toponimi della zona come ad esempio Xirbi, Ziboli, Saccara, Balate, Gibil Habib o anche molti cognomi, una fra tutti Vadalà (servo di Allah).
Qualunque sia l’ipotesi sulla sua origine, anche Caltanissetta ha vissuto e condiviso le vicissitudini storiche della Sicilia, rimanendo però, quasi sempre, solo una città feudale senza mai raggiungere autonomia o momenti di particolare prosperità.
Troviamo conferma di questa affermazione nel fatto che, anche durante il suo “splendido” periodo arabo, non era elencata tra le diciotto città più importanti, ma soltanto tra le 320 rocche sparse nel territorio siciliano.
Nel 1150 ca. Qa’at an Nisa è ricordata come “rocca di bella costruzione”.
Su una roccia isolata (una serra calcarea), che emerge dalla terra come per incanto, a picco su un burrone inaccessibile se non dal lato occidentale, fulcro dell’insediamento arabo, si ergeva il Castello di Pietrarossa, meglio conosciuto dai nisseni come Murra di l’Ancili.
Il castello costruito su vari livelli, con la sua posizione strategica e le sue tre torri collegate da cortine murarie, dominava la città sottostante, controllava la valle, le sue coltivazioni e quella preziosissima fonte idrica che era il fiume Imera.
Il castello deve il suo nome al tipo di pietra usata per la costruzione.
Esso, infatti, è chiamato dal popolo murra di l’Ancili per un chiaro riferimento alla vicina chiesa di Santa Maria degli Angeli e perché pare che con il termine murra, nel dialetto siciliano si intenda sabbia o pietrarossa.
Così come per il nome della città non vi sono elementi certi, anche per le origini del Castello di Pietrarossa le ipotesi sono molteplici.
Alcuni studiosi dei secoli scorsi hanno notato resti di strutture architettoniche romane; altri hanno attribuito la paternità dell’insieme addirittura all’epoca sicana; altri ancora lo hanno identificato con il castello attaccato invano dagli Ateniesi chiamati a combattere la potenza di Siracusa, come ci ha tramandato la storia greco Tucidide.
Dal lontano 1086, comunque il Castello di Pietrarossa, rocca strategica ed inespugnabile, fu sicuramente teatro di vicende di notevole rilevanza storica, e per tutto il medioevo fu centro di lotte politiche e militari, almeno fino a quando il conte Ruggero lo conquistò con le armi.
Ai Normanni, che ricristianizzarono e rilatinizzarono l’isola e che tracciarono la migliore organizzazione governativa europea del tempo, succedettero gli Svevi che, con Federico II (precursore della figura del principe rinascimentale), raggiunsero ancor più alti livelli.
Nel 1282, durante la guerra del Vespro, il castello fu saccheggiato.
Ancora nel 1282, Pietro d’Aragona nomina Bernardo de Sarrià al posto di Ruggero Barresi come castellano di Caltanissetta.
Nel 1295, dopo il Vespro e la cacciata degli Angioini, il castello ospitò il Convegno dei Baroni di Sicilia, ivi riunitisi per la proclamazione di Federico d’Aragona come Re dei Siciliani.
Con gli aragonesi l’anarchia feudale durò per anni; mettendo a dura prova anche i cittadini nisseni che nel 1361 furono costretti, peraltro riuscendoci, a non far entrare e mettere in fuga i baroni Chiaramonte e Ventimiglia, che di notte avevano tentato d’assaltare la rocca.
Sempre nello stesso anno Federico IV, in viaggio alla volta di Palermo, sostò nel castello.
Qualche anno dopo, nel 1377, nel Pietrarossa si riunirono, ancora una volta, in convegno tutti i baroni dell’isola, per istituire il “Governo dei quattro Vicari” composto dalle potenti famiglie Alagona, Chiaramonte, Peralta e Ventimiglia. Il loro compito era di detenere momentaneamente il potere in nome della giovanissima Maria, figlia quindicenne, orfana di Federico IV di Aragona e futura regina di Sicilia.
Le ultime notizie storiche documentate sono del 1047, data in cui Sancio Ruiz de Lihori vende a re Martino per 20.000 fiorini d’oro le terre ed il castello. Pochi giorni dopo re Martino, in cambio di Augusta, cederà il tutto a Matteo Moncada.
Anche in questa occasione si ebbe un tumulto contro il conte Antonio Moncada, allora signore della città, ed alcuni elementi storici ci indicano che verso la fine dello stesso secolo i sotterranei del castello furono utilizzati come carceri.
Nella notte del 27 febbraio 1567, per una scossa tellurica, la fortezza crollò.
Nel 1591, da un elenco di spese effettuate per conto del principe Moncada, si deduce che con lavori di manutenzione si cerca di conservare le parti della fortezza ancora in piedi.
Quasi contemporaneamente però , inizia l’utilizzo della rocca come cava di pietra da costruzione.
Oggi il castello è costituito da un muro alto e diroccato, una torre di guardia in pietra viva, terrapieni, bastioni ed un ponte di comunicazione.
La torre di vedetta, in parte scavata nella roccia ha una corona di merli; un cantone ha uno spigolo di pietra rossastra, tra gli speroni di roccia un archetto a tutto sesto con sopra una feritoia e una cisterna per liquidi in mattoni e rivestita con intonaco che ingloba frammenti di ceramica dipinta databile tra la fine del XII secolo e l’inizio del XIII.
Poveri ruderi rimasti a sfidare il tempo, ma che dimostrano e testimoniano che le opere murarie erano state eseguite con cura e che le malte cementizie (predominanza di solfato di calce) presentano ancora un buono stato di conservazione.
Oggi andando in giro per le strade dell’attuale città e osservando, per esempio la costruzione della via del Monastero di Santa Croce o con occhio ancora più attento il Palazzo Beauffremont (disegnato e progettato dal frate cappuccino Pietro da Genova) si possono scorgere e rinvenire pietre e rilievi asportati dalle rovine del Castello di Pietrarossa.
Tratto da Emma Mòllica
Della casa editrice AnninovantAEditrice AnninovanAEditrice
Castello Pietrarossa a Caltanissetta
Castello di epoca feudale Pietrarossa