I ruderi architettonici del castello di Pietraperzia si trovano nel “Val di Noto”.
Ruderi architettonici del castello di Pietraperzia in provincia di Caltanissetta
Voluto da Abbo I Barresi (milite francese), sub feudatario della casata degli Aleramici, che ne ebbe concessione del normanno Ruggero d’Altavilla Gran Conte di Sicilia, che raggiunto nell’isola insieme con Roberto il Guiscardo nel 1060, e con soltanto 700 cavalieri.
Nel 1087, dopo aver occupato, ricristianizzato e rilatinizzato quasi tutte le città dell’isola (mancava all’appello solo la catena di Noto espugnata nel 1091) i Normanni occuparono Enna.
Il castello di Pietraperzia, pertanto fu strutturato in pieno periodo normanno, su una cresta rocciosa (549 metri) dominante la valle del fiume Imera.
Su quella cresta, traforata da antiche cavità (tombe castellucciane) troviamo anche stratificazioni di strutture architettoniche appartenenti a vari periodi storici e in ordine di successione: Sicano, Siculo, Romano, Bizantino, Arabo, per arrivare ancora alle trasformazioni dei Normanni e così via nel tempo per quasi tutte le dominazioni subite dalla Sicilia.
Sono state veramente tante le vicissitudini storiche e strutturali del maniero.
Nel 1282, data dei Vespri Siciliani, i Barresi parteciparono alla rivolta armata contro gli Angiò, schierandosi con gli Aragona, ma nel 1295 si allearono con gli Angioini e per questo motivo re Federico II d’Aragona ordinò a Manfredi Chiaramonte d’assediare il castello di Pietraperzia.
Proprio in quell’occasione il castello subiva la sua prima, anche se parziale, distruzione.
Nel 1298 il feudo passò ai De Verga e in seguito fu assorbito nel patrimonio del regio demanio.
I Barresi riottennero feudo e castello, soltanto dopo ventisette anni, nel 1320.
Abbo IV Barresi restaurò il vecchio maniero, costruendo per la sua famiglia un gran torrione quadrangolare ad un rilievo più basso rispetto alla prima struttura e sopra una gran caverna
Nel XV secolo la cinta muraria del castello fu ampliata e rafforzata con nuove torri quadrangolari e circolari.
Alla fine dello stesso secolo Giovanni Antonio Barresi decise di costruire un terzo edificio vicino al torrione del milletrecento.
Voleva realizzare una grandiosa e ricca dimora in onore della moglie Donna Laura Sottile, che aveva convinto ad abitare in Pietraperzia, invece che, come aveva promesso prima del matrimonio, in Palermo. Era necessario abitare al castello per amministrare meglio ed insieme il gran feudo.
La costruzione del terzo castello, cominciata all’inizio del 1500, fu ultimata nel 1526 grazie al successore Matteo Barresi; ancora una volta assistiamo alla collocazione di una fabbrica sopra un sistema sotterraneo di grotte.
S’eresse un edificio a pianta rettangolare, secondo lo stile dei palazzi del 1500, strutturato su tre piani ad una quota più bassa dei resti della costruzione distrutta dal Chiaramonte, ma anche più un basso del torrione del 1300.
All’interno del fabbricato si apriva un gran cortile e pare che nel palazzo vi fossero ben 365 stanze con tante finestre corrispondenti alla maggior parte degli ambienti.
Alcune fonti evidenziarono l’esistenza di ben dodici torri, ma resta accentrata l’esistenza di solo nove d’esse.
Numerose erano le merlature sia sulla facciata esterna sia sul cortile; molte erano le statue che adornavano il castello e spesso riproducevano, nelle sembianze degli eroi, la famiglia Barresi.
Questa vera e propria reggia, che ha rappresentato il più ricco e fascinoso castello feudale della Sicilia, offrì nei decenni a seguire una comoda resistenza ai successori.
Il portone d’ingresso della struttura trovatasi a mezzogiorno, con una larghezza di m 2.20 ed una altezza di m 3.20; un tempo, al di sopra d’esso, era posto lo stemma dei Barresi: una scrofa che allatta i suoi piccoli.
Di fronte all’ingresso era una nicchia dove pare fosse posizionato un affresco con l’immagine della Madonna delle Grazie, molto onorata dalle fanciulle del borgo.
Sulla destra del portone si apriva un camminamento che conduceva ai sotterranei ed iniziando la seconda rampa di scale sulla sinistra, si scopriva una scaletta ricavata nella roccia la cui volta era sostenuta da due grandi archi; probabile sito di un posto di guardia.
La seconda rampa di scale, decorata con segni zodiacali, conduce al cortile d’ingresso del castello dove era situato un portone con un ricco portale. Di fronte al portone la torre quadrangolare che ospitava, nel piano sotterraneo le sepolture dei principi, al primo piano la cappella di Sant’Antonio Abate ed al secondo piano, proprio sopra la cappella, l’abitazione del cappellano.
Un portale di marmo bianco, decorato con foglie e figure (che molti studiosi attribuivano al Gagini e di cui oggi rimane solo memoria storica), immetteva alla cappella, la quale era ad una sola navata ed aveva una finestra a feritoia da cui filtrava una luce che illuminava degli affreschi.
Sull’altare della cappella era dipinta la Madonna della Catena e pare che il soffitto fosse realizzato a cassettoni con travi dorate e dipinti raffiguranti scene della Genesi.
Resti di pavimento si hanno vicino all’altare, dove era anche una botola che conduceva alle sepolture dei signori; stupendi sarcofagi realizzati in marmo.
Un maestoso portale di fronte alla cappella, immetteva al “gran cortile”; in origine di straordinaria bellezza per la ricercatezza architettonica ed il largo impiego di armi che producevano scene in basso rilievo, capitelli, pilastri, colonnine, finestre e sculture a tutto tondo.
Una parte di esso era coperta e delimitata da portici, mentre una scalea portava ai vari piani.
Il “gran salone” merita di essere ricordato: distrutto dal terremoto del 1883; si affacciava sul cortile e alle pareti erano collocati dipinti che riproducevano gli stemmi delle famiglie nobili con le quali i Barresi erano imparentati; facevano mostra di sé anche arazzi di notevole fattura; le travi del soffitto, invece, erano dipinte con scene campestri e di caccia.
Sotto al salone era collocata la sala d’arme; ricca d’armature per cavalli e cavalieri, oltre che da elmi, spade, alabarde, mazze e lance.
Si sa di un’armeria ben provvista e con l’avvento delle armi da fuoco le difese del castello furono rafforzate da rivellini e da numerosi cannoni, che pare non fu mai necessario usare.
I Barresi abitarono il castello sino al 1571.
Si può considerare epoca d’oro per Pietraperzia tutto il sedicesimo secolo che vide i Barresi trasformarsi da baroni in marchesi con Matteo III Barresi (fondatore di Barrafranca nel 5129) e poi in prìncipi (1564) con Pietro Barresi.
Il castello diventò allora ambìto ritrovo di gente amante della cultura e della politica.
Lo steso Pietro Barresi fu esperto astronomo e la sua corte apprezzò anche composizioni di madrigali.
Egli partecipò anche alla lotta contro i Turchi, che si concluse con la vittoria di Lepanto nel 1571.
Alla sua morte, non avendo eredi diretti, gli successe la sorella Donna Dorotea, la quale andò sposa in prime nozze a Giovanni Branciforti quarto conte di Mazzarino.
Dorotea Barresi, avendo sposato in terze nozze il Vicerè di Napoli, Giovanni Zunica, fu durante la vita anche Viceregina ed essendo, per sue virtù, in stima presso il papa del tempo, Gregorio XIII, fu scelta del re Filippo II di Spagna come attenta custode dell’educazione di suo figlio; figlio che poi sarebbe divenuto re Filippo III.
Alla morte di Dorotea subentrò il figlio, Fabrizio Branciforti, signore di molte terre, che abitò a Butera, a Mazzarito, a Militello fino a trasferirsi definitivamente a Palermo, lasciando il castello di Pietraperzia nelle mani prima del Governatore, poi in quelle del Capitano, del Cappellano ed infine anche nelle mani di persone che facevano solo parte della sua corte.
Come conseguenza si assistette ad un lento decadimento culturale ed una grande crisi sociale del paese di Pietraperzia, del suo castello e del suo territorio; fino alla tragica costituzione di una banda armata capitanata da un certo Antonio Di Blasi detto Testalonga che, in soli due anni di banditismo (1765-1767), con i suoi sequestri e i suoi ricatti usati per colpire ricchi commercianti e nobili potenti, seminò il terrore in tutta la Sicilia.
Testalonga, a causa di una delazione, fu catturato ed impiccato a Mussomeli.
Negli ultimi due secoli del secondo millennio fu come se una forza oscura spingesse a cancellare il grandioso, monumento e a ridurlo quasi ad un cumulo di macerie.
Già nei primi anni del 1800 Donna Caterina Branciforti, conservando per sé solo l’uso dell’appartamento del piano nobile, della Cappella e poco altro, aveva concesso (per via degli altri costi da sostenere) al comune di Pietraperzia d’avere in affitto i cantinati del castello per utilizzarli come carcere, uso che poi durò per quasi un secolo, fino al 1906.
Il Comune, tuttavia, non pagò quasi mai l’affitto e i proprietari di conseguenza non finanziarono lavori di restauro o mantenimento.
Durante la rivolta del 1820 il castello veniva ancora una volta saccheggiato e più che mai alla fine risultava bisognoso di cure.
Pacificati gli animi e ritornato l’ordine, il castello divenne solo luogo di tetra fama.
Luogo di pena e di condanna a morte, mònito per la gente del posto e raccapriccioso dei passanti, i quali alzando lo sguardo potevano vedere le teste mozze dei condannati dentro una gabbia di ferro che appesa ad un gancio sporgeva dalle mura.
La struttura divenne famosa non più per la sua possenza, bensì per le sue condizioni disumane in cui i prigionieri venivano tenuti e per le torture che venivano loro afflitte; nelle sue celle non era possibile stare né in posizione eretta, né coricati, anche perché le prigioni non erano altro che una serie di antiche piccole caverne.
Nel 1837 l’edificio fu utilizzato anche come lazzaretto per i colerosi e nel 1838 un terremoto lo distrusse quasi del tutto.
Nel 1878 il comune di Pietraperzia avanzò ai nuovi proprietari, i principi di Lanza di Trabìa, la richiesta d’avere la cessione gratuita del monumento; ma non si arrivò ad alcun accordo, ne nacque anzi una lunga diatriba. Il comune di Pietraperzia a quel punto chiese anche l’intervento dell’Intendenza di Finanza di Caltanissetta, che con il suo intervento peggiorò ulteriormente il tutto.
Il 1883 portò ancora un terremoto; nel 1894 ancora un assalto durante la rivolta dei Fasci dei Lavoratori, ed il 1899 ancora l’ennesimo terremoto.
Nel 1906 il castello non fu più usato come carcere e nel 1910 tornò ad essere lazzaretto a causa dell’epidemia di vaiolo che si sviluppò nel territorio.
I Lanza, non ricevendo ancora nessuna pigione per l’uso dell’immobile, decisero di smontare le più preziose decorazioni scultoree e architettoniche ancora rimaste e di trasferirle nelle residenze di Palermo o Bagheria, lasciando il castello senza alcuna custodia.
Il maniero divenne luogo di asporto di materiale edile.
Nel 1938 il Comune lo scelse come luogo adatto per costruire un grosso serbatoio d’acqua, per realizzarlo (senza alcuno scrupolo) si pensò bene di mozzare le due antiche torri d’accesso, provocando un ulteriore irreparabile danno.
Il rapporto paesaggistico più integro e suggestivo del castello è quello che si conserva sul versante che guarda Caltanissetta.
Alcune foto dell’inizio del 1900 documentano scorci d’interno della “Gran Corte”, in cui erano ancora presenti decorazioni architettoniche e scultoree che, nonostante le peripezie subite, caratterizzavano ancora il grandioso maniero: un portale gotico-siculo-aragonese, finestroni e portali incorniciati da ricche decorazioni del 1500 e pareti rivestite con un bugnato a punta di diamante; rivestimento tipico del Rinascimento ed oggi, in Sicilia, riscontrabile solo allo Steripinto di Sciacca.
Tratto da Emma Mòllica
Della casa editrice AnninovantAEditrice
Ruderi del castello feudale di Pietraperzia in provincia di Caltanissetta
Castello di Pietraperzia di epoca feudale in provincia di Caltanissetta