Pietro III di Aragona fu re di Aragona e di Valencia, conte di Barcellona e delle altre contee catalane (1276-1285) e re di Sicilia (1282-1285), insieme alla consorte Costanza II di Sicilia.

Un dipinto a olio su tela che raffigura un memento dell’insurrezione popolare siciliana.

Lo sbarco degli Aragonesi in Sicilia il 30 agosto 1282 destò negli Angioini il timore che la flotta angioina potesse tagliare loro la via del ripiegamento strategico in Calabria, sicchè la ritirata si trasformò in fuga. Pietro III entrò, così, anche a Messina e da quel momento lo scontro con Carlo d’Angiò si limitò ad una tenzone verbale con acceso scambio di reciproche accuse.

La rivolta del Vespro, che aveva creato condizioni favorevoli alla spedizione aragonese, anche se era stata di matrice popolare, era stata subito appoggiata dai baroni, che ne avevano preso le redini per evitare che evolvesse in senso a loro non gradito. Essa, dunque, era divenuta una rivolta feudale contro lo stato forte; ma, chiedendo aiuto alla corona d’Aragona, i baroni siciliani divenivano, a loro volta, pedine nelle mani di catalani e napoletani, che svolgevano una politica antiangioina.
Il popolo, che in un primo tempo aveva offerto la sovranità della Sicilia al papa, appoggiò la soluzione aragonese solo dinanzi al suo rifiuto ed al pericolo di un imminente attacco dell’esercito angioino.

La politica dell’isola era, dunque, condizionata dai baroni, che speravano di poter spadroneggiare con un re lontano come era quello d’Aragona.

Pietro III, da parte sua, aveva bisogno dell’aiuto dei baroni, che, dal momento che l’Aragona era lontana, dovevano fornirgli i loro eserciti feudali per aiutarlo a smantellare l’organizzazione repubblicana delle città della "Communitas Siciliae", governate dai capitani elettivi.

Pietro III si diede ad organizzare il regno sciogliendo, innanzitutto, i legami della "Communitas Siciliae" e nominando elementi a lui fedeli al posto dei vecchi governanti. Il ghibellino Giovanni da Procida fu nominato gran cancelliere del regno, mentre vicari generali con pieni poteri furono nominati Pietro Queralt per la Sicilia occidentale e Guglielmo Calcerando per la Sicilia orientale. I vicari avevano, in sostanza, la responsabilità di assicurare la fedeltà dei sudditi al re e di curare il buon andamento del regno dal punto di vista giudiziario ed amministrativo.

Nei confronti dei baroni inizialmente Pietro III fu ben disposto, ma successivamente, nel consolidare il suo potere, egli ignorò, talvolta, i loro privilegi feudali, mentre creò una nuova aristocrazia feudale spagnola, che riceveva terre in cambio del servizio militare e che equilibrava con la sua presenza quella dei nobili siciliani. Molti dei baroni, che avevano tessuto intrighi contro gli Angioini, ricominciarono a farlo contro Pietro III, cercando, questa volta, l’appoggio angioino. La politica baronale continuò, dunque, ad essere ispirata da interessi personali, che nulla avevano a che vedere con il patriottismo.

Rientrava nei programmi degli Aragonesi il potenziamento dell’esercito di stanza in Sicilia, anche con l’arruolamento di isolani, e quello della flotta, il cui abile comandante, Ruggero Loria, divenne l’arbitro della situazione siciliana. Il re aragonese, che voleva completare la sua conquista passando nell’Italia meridionale, fuse, a tale scopo, la flotta catalana con quella siciliana, accentuando, così, la dipendenza dell’isola dall’Aragona. I mezzi finanziari furono reperiti con un fiscalismo rapace, essendo gli Aragonesi costantemente a corto di mezzi.

Carlo d’Angiò, da parte sua, era ben deciso a riconquistare l’isola. La conquista della Sicilia rappresentò per gli Aragonesi un grande vantaggio sotto molti punti di vista. Essa li pose in una posizione di controllo delle rotte mediterranee e fece loro acquisire un importante mercato di acquisto e di vendita nel quale essi soppiantarono i Genovesi, che fino ad allora avevano goduto posizioni di privilegio. Pietro III concesse privilegi commerciali ai mercanti catalani, che avevano finanziato la spedizione aragonese in Sicilia. Soprattutto il grano isolano garantiva condizioni di monopolio sui mercati ed era gestito in proprio dal re stesso, che con questi proventi pagava in Spagna i debiti da lui contratti.

Consolidata la conquista, Pietro III ritornò in Aragona, ma prima di partire convocò a Palermo il parlamento per comunicare che alla sua morte le corone di Sicilia e d’Aragona sarebbero state divise ed assegnate la prima al figlio Giacomo, la seconda al figlio Alfonso.

La reggenza del regno di Sicilia fu affidata alla regina Costanza, assistita da Giovanni da Procida e da Ruggero Loria, scelta che si rivelò avveduta e positiva. La flotta siciliana, comandata dal Loria, l’8 luglio 1283 conquistò Malta, sconfiggendo le navi provenzali, mentre l’esercito conquistava la Calabria.

Proseguiva tra Pietro III e Carlo d’Angiò lo scontro diplomatico, che culminò in un accordo secondo il quale l’esito della guerra del Vespro doveva essere deciso sul campo in un duello tra i due re. L’accordo ebbe il consenso della Santa Sede. Fu stabilito che la disfida avrebbe avuto luogo a Bordeaux, in Guascogna, e che ne fosse giudice il re d’ Inghilterra. Essa si trasformò in una farsa, così come ce la descrive il cronista Pandolfo Collenuccio. Il giorno stabilito il re Carlo si recò sul luogo del duello, ma Pietro III non c’era e si diffuse la notizia che il giorno precedente era stato visto in un luogo dal quale gli sarebbe stato difficile raggiungere a cavallo Bordeaux. Il re Carlo si trattenne a lungo sul luogo del duello, ma alla fine se ne andò. Nel frattempo Pietro III era venuto in incognito con cavalli velocissimi ed era rimasto nascosto.

Quando re Carlo andò via, egli si presentò al luogotenete del re d’Inghilterra lamentando l’assenza del suo avversario. L’episodio documenta la crisi dei valori cavallereschi medievali.

Proseguivano, intanto, le azioni militari che la reggente ed i suoi consiglieri programmavano per consolidare il regno. Dopo la conquista della Calabria il Loria sconfisse gli Angioini nel porto di Napoli e la città si sollevò contro Carlo, il quale represse duramente il moto. Successivamente la flotta aragonese conquistò in Africa, nel porto di Gabes, le isole Gerbe.