Federico III o Federico d’Aragona (conosciuto anche come Federico II l’aragonese) era stato condotto in Sicilia da bambino ed era, quindi, legato ai Siciliani, di cui era stato vicerè. Federico III continuò i vespri contro gli Angioini, sostenuti dal papa, mentre la politica estera di Federico era legata all’impero.
Il Castello di Resuttano, dove Federico III di Sicilia (o Federico II l’Aragonese) fece testamento in favore dei figli (foto di Luigi Morelli)
Federico III era stato condotto in Sicilia da bambino ed era, quindi, legato ai Siciliani, di cui era stato vicerè. Egli fu incoronato il 25 marzo 1296 con il titolo di "rex Siciliae, ducatus Apuliae, principatus Capuae" ed assunse la fisionomia di un monarca nazionale e costituzionale scelto dai Siciliani da un lato, mentre dall’altro era considerato un usurpatore dai sostenitori dei diritti di Giacomo II. Le modalità della sua elezione lo rendevano in larga misura dipendente dai baroni siciliani, nei confronti dei quali dovette largheggiare in concessioni per assicurarsene il consenso, spogliandosi di molte delle sue prerogative reali.
La storia del Castello di Resuttano
Egli creò numerosi nuovi conti e cavalieri, per allargare la cerchia dei suoi sostenitori,e si impegnò a non fare guerre, a non firmare pace ed a non istituire imposte senza il consenso del parlamento. Ma, mentre ai tempi dei Normanni il rafforzamento della feudalità aveva rappresentato il consolidamento dell’autorità del re, adesso rappresentava un principio di disgregazione e di indebolimento dell’autorità regia.
Per avere un’idea di quanto fossero potenti le famiglie feudali, basta ricordare che Francesco Ventimiglia possedeva diciannove feudi sparsi per la Sicilia, i Palizzi ne possedevano undici, i Chiaramonte otto, i Moncada possedevano Malta.
La dipendenza feudale dal sovrano era pressochè simbolica, infatti la legge "Volentes", promulgata da Federico nel I296,consentiva la libera alienazione dei possedimenti feudali.
Immediata e violenta fu la reazione del papa Bonifacio VIII contro i Siciliani che gli si erano ribellati dando la corona a Federico III. Egli sollecitò gli Angioini, che si erano, intanto, alleati con Giacomo II d’Aragona, ad effettuare una spedizione in Sicilia. Essa ebbe luogo nel I298 e vide Federico III alleato con Genova. Lo scontro decisivo avvenne il 4 luglio I299 a Capo d’Orlando, dove Federico fu sconfitto dalla flotta angioino-aragonese comandata da Ruggero Loria, che era passato agli Angioini. Ma questo successo militare non fu sfruttato appieno dai vincitori, anzi Federico sfuggiì alla cattura con la connivenza del fratello Giacomo.
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Bonifacio VIII suscitò, allora, un nuovo nemico contro Federico III: Carlo di Valois, (fratello del re di Francia), che venne in Sicilia e nel I302 favorì la stipula della pace di Caltabellotta tra Federico III e Carlo II d’Angiò.
In essa si riconosceva la sovranità di Federico III sulla Sicilia vita natural durante con il titolo di re di Trinacria, mentre re di Sicilia rimaneva Carlo II d’Angiò, al quale, appunto, dopo la morte di Federico III, sarebbe tornata l’isola, che veniva separata dal resto del regno dell’Italia meridionale.
Gli interessi nazionali, sui quali aveva fatto leva Federico III, gli avevano consentito un significativo successo, anche se non assicuravano quello della sua dinastia. La pace di Caltabellotta, nonostante la previsione di un ritorno degli Angioini, che in realtà non avvenne mai, segna una data importante per la Sicilia, infatti da allora in poi Sicilia e regno di Napoli costituirono fino al Settecento due stati separati con leggi ed amministrazioni nettamente distinte e, anche quando appartennero allo stesso sovrano, si realizzò soltanto una "unione personale" dei due stati.
Nel I8I5 i Borboni tentarono di ricostituire l’unità amministrativa dell’antico regno normanno-svevo facendo, però, centro a Napoli.
Il consolidamento della dinastia aragonese in Sicilia segnò l’inizio della penetrazione spagnola in Italia ,che si accrebbe notevolmente nei secoli successivi.
Nonostante la firma della pace di Caltabellotta, continuarono gli scontri tra Federico III e gli Angioini sostenuti dal papa, mentre la politica estera di Federico era legata all’impero. Egli divenne il principale esponente del ghibellinismo italiano, mentre Roberto d’Angiò, successo al padre Carlo II sul trono di Napoli, lo era del guelfismo.
Quando l’imperatore Enrico VII di Lussemburgo scese in Italia nel I3I3 deciso a restaurare l’autorità dell’impero fortemente minata dall’assenza degli imperatori che lo avevano preceduto, Federico venne nominato ammiraglio dell’impero; ma, quando la spedizione imperiale fallì ed Enrico VII morì a Buonconvento, presso Siena, Federico III non si sentì di sostenere da solo il peso dell’eredità ghibellina e abbandonò i grandi disegni per tornare ad occuparsi del suo piccolo regno, meritandosi l’accusa di vilta’ rivoltagli da Dante Alighieri.
Egli fronteggiò con energia, sostenuto dai Siciliani,la ripresa delle ostilità da parte degli Angioini dopo il fallimento della spedizione imperiale. Ma due successive spedizioni angioine contro la Sicilia, una nel I3I3 e l’altra nel I3I6, fallirono, proprio per la insolita compattezza dei Siciliani attorno al loro re.
Un tentativo del papa Giovanni XXII nel I320 (la sede papale era ad Avignone) di comporre una pace tra Napoli e Sicilia andò a vuoto, perchè i Siciliani proibirono a Federico di recarsi in Francia dal papa. A seguito di ciò Federico fu scomunicato, soprattutto perchè aveva intaccato le rendite ecclesiastiche chiedendo alle chiese di Sicilia un contributo per le spese belliche, e la Sicilia fu colpita da interdetto, che fu poi tolto dal papa Benedetto XII dopo quattordici anni durante i quali le chiese erano state chiuse al culto.
Nel dicembre del I320,in contrasto con la pace di Caltabellotta, il parlamento di Siracusa nominò re di Sicilia, insieme al padre, l’infante Pietro, che era già vicario del regno dal I3I6, mentre continuavano i tentativi angioini di riconquistare l’isola.
Un tentativo di reinserimento nella grande politica internazionale Federico III lo fece in vista della discesa dalla Germania dell’imperatore Ludovico il Bavaro, con il quale concluse un accordo, sancito dal matrimonio tra Elisabetta, figlia di Federico, e Stefano, secondogenito di Ludovico. Ma quando Ludovico giunse a Roma nel I328, in aperto scontro con il papa avignonese Giovanni XXII, egli si trovò osteggiato dai guelfi, ma non abbastanza sostenuto dai ghibellini, infatti la flotta siciliana comandata da Pietro II, figlio del re Federico III, che egli si era associato al trono nel I320, giunse in ritardo in aiuto dell’imperatore, quando questi aveva già deciso di ritornare in Germania. La politica federiciana mostrava i segni di una crisi irreversibile.
I motivi di tale crisi erano innanzitutto legati alla turbolenza dei feudatari, sia siciliani, che aragonesi e catalani, che si raggruppavano in fazioni legate una al re di Sicilia, l’altra agli Aragonesi di Spagna. Emergevano tra i primi i Chiaramonte; tra i secondi i Ventimiglia, gli Alagona, i Moncada, i Lancia, gli Sclafani. Federico III, anche se con difficoltà, riuscì a mantenere il controllo del regno sino alla sua morte, avvenuta nel I337 in un convento vicino Catania, dopo aver fatto testamento durante una sosta al Castello di Resuttano. Dopo di essa esplose in Sicilia la guerra civile, mentre diveniva re il figlio Pietro, in contrasto con le clausole della pace di Caltabellotta.