Lo scioglimento del Consorzio creò nei produttori la speranza di essere in grado di risollevare le sorti del settore zolfifero in regime di libertà, ma essa si rivelò presto illusoria.

Paesaggio miniera Gessolungo di Caltanissetta

Paesaggio circostante la miniera Gessolungo di Caltanissetta – Foto di Vincenzo Santoro

La concorrenza americana, avvantaggiata dalla svalutazione del dollaro, creò enormi problemi all’industria zolfifera siciliana e, per fronteggiarla, nel I933 fu costituito l’"Ufficio Vendite per lo zolfo italiano" (ITALZOLFI). I provvedimenti più importanti adottati da questo ente furono un nuovo accordo con la concorrenza americana, rappresentata dalla SULEXO, l’adozione del sistema del contingentamento produttivo (quote fisse per ogni miniera), prezzi minimi garantiti.

I gruppi di potere che operavano all’interno dell’industria della raffinazione riuscirono ad ottenere dal governo una integrazione di prezzo per i raffinatori di greggio e la riserva alla Montecatini del mercato italiano, mentre il mercato estero, dalle caratteristiche aleatorie, venne lasciato ai siciliani.

Il contingentamento favorì le vecchie miniere, ma scoraggiò chi avesse voluto intraprendere nuove esplorazioni geologiche per sfruttare giacimenti non ancora conosciuti. Il regime fascista allora, nella logica dell’autarchia, cercò di riorganizzare con maggior rigore il settore zolfifero con la creazione nell’aprile del 1940 dell’ "Ente Zolfi Italiani" (EZI), in sostituzione dell’ITALZOLFI. Le misure adottate dal nuovo ente miravano a limitare l’entità della rendita dei latifondisti ed a stimolare la meccanizzazione degli impianti produttivi, con conseguente diminuzione dei costi.

Esse si concretizzavano in un abbassamento degli estagli ed in norme più rigide sulla decadenza delle concessioni minerarie. L’attacco alla rendita parassitaria dei latifondisti giungeva tardivo, tanto più che esiziali furono i contraccolpi della guerra: nel 1944 la produzione scese a 33.000 tonn. con 75 miniere attive e 5.000 addetti.

Gli anni ’50 segnarono per il settore zolfifero un periodo di grave crisi, se si eccettua la parentesi della guerra di Corea nel 1952, che fece registrare un momentaneo rialzo della produzione e delle vendite di zolfo; la produzione siciliana, che ormai incideva soltanto per il 2% sul mercato mondiale dello zolfo, non poteva competere con quella americana, che con il metodo Frasch aveva costi di produzione talmente bassi, da vendere lo zolfo in Europa a 20.000 lire circa la tonnellata, mentre il costo di produzione dello zolfo siciliano si aggirava intorno alle 40.000-45.000 lire per tonnellata di zolfo fuso. Bisognava, inoltre, fare i conti con la concorrenza presentata dallo zolfo di recupero dal gas metano, prodotto ad un costo di 10.000-12.000 lire la tonnellata.

Fino alla prima metà degli anni ’50 il settore zolfifero rimase di esclusiva competenza dello Stato, nonostante l’art. 14 dello statuto della Regione Siciliana prevedesse che il settore minerario fosse di competenza della stessa. Sono questi gli anni della scoperta del petrolio in Sicilia e della istituzione della Cassa del Mezzogiorno, caratterizzati dalla preminenza dell’intervento pubblico nell’economia italiana. A livello nazionale nasceva l’Ente Nazionale Idrocarburi, a livello regionale nasceva l’IRFIS.

Le competenze del settore zolfifero siciliano passarono alla Regione nella metà degli anni ’50, quando lo Stato riteneva già che per il settore zolfifero non ci fosse futuro.

La Regione Siciliana si trovò ad assumere la gestione di questo settore in un periodo in cui aumentava la disoccupazione e così pure la protesta degli operai contro gli esercenti, che si rifiutavano di applicare il contratto di lavoro nazionale di categoria, motivando la loro renitenza con le difficoltà finanziarie che attraversavano.

L’erogazione di contributi arginò l’ondata di licenziamenti, mentre nel 1956 una legge imponeva il rispetto dei contratti nazionali di lavoro, pena la decadenza delle concessioni.

Per salvare il settore dalla gravissima crisi, fu approvata sotto il governo Milazzo la legge regionale 4 aprile 1959 n.23, che prevedeva una ristrutturazione del settore zolfifero con un piano quinquennale (1959-1964) per lo sviluppo economico della Sicilia. Essa fu il più importante tentativo fatto dalla Regione Siciliana per risanare e riorganizzare il settore zolfifero. La legge prevedeva la tanto attesa verticalizzazione del settore con la produzione di acido solforico e l’incentivazione dell’impiego dello zolfo in agricoltura; stabiliva, inoltre, la costituzione di un fondo per le sovvenzioni all’industria, agevolazioni e contributi per l’ammodernamento degli impianti, indennità di disoccupazione e corsi di riqualificazione professionale per gli operai.

La legge prevedeva la presentazione da parte degli esercenti di un piano quinquennale di ristrutturazione delle miniere, per la cui realizzazione avrebbe anticipato i fondi la Regione Siciliana, corrispondendoli agli esercenti a stati di avanzamento. La restituzione delle somme alla Regione sarebbe iniziata allo scadere dei cinque anni, raggiunti gli obiettivi di economicità nell’organizzazione produttiva della miniera, dilazionando i pagamenti in 10 anni al tasso di interesse del 4%. Gli esercenti dovevano, inoltre, impegnarsi a mantenere occupati nelle miniere un certo numero di operai con regolare retribuzione. Gli inadempienti sarebbero stati immediatamente esclusi dai finanziamenti.

Nel 1957 era nato, intanto, il Mercato Comune Europeo con la firma del trattato di Roma. Tale avvenimento era destinato a determinare radicali cambiamenti nella politica economica italiana e, quindi, anche nel settore zolfifero. Le nuove regole furono quelle imposte dal mercato, mentre fu ripudiato il sistema dei sostegni diretti ed indiretti erogati dalla Regione Siciliana.

Nel 1961 si tenne a Palermo un convegno sullo zolfo, organizzato dall’Ente Zolfi Italiani per formulare proposte in ordine alle modalità di un proficuo inserimento dell’industria dello zolfo nella C.E.E. A tale scopo l’assemblea regionale istituì nel 1962 l’Ente Minerario Siciliano, il primo presidente fu Calogero Volpe.

Una successiva legge regionale stabiliva che le concessioni revocate agli inadempienti rispetto al piano quinquennale sarebbero state gestite dall’Ente Minerario Siciliano; nel 1964, allo scadere del termine previsto per l’attuazione del piano, quasi tutti i concessionari risultarono inadempienti e le miniere passarono dalla gestione privata a quella pubblica dell’E.M.S. prima, e poi della SO.CHI.MI.SI., società collegata all’E.M.S., istituita nel 1967.

Queste misure non riuscirono, però, a frenare l’inarrestabile declino dell’industria zolfifera siciliana, che nel 1969 contava appena 15 zolfare attive con 3.000 addetti, nonostante l’aumento della domanda mondiale di zolfo. Ebbe inizio, così, il capitolo più doloroso dell’industria zolfifera, quello della sua liquidazione, che, pur presentando caratteristiche di ineluttabilità legate a fattori di ordine economico internazionale (concorrenza dello zolfo americano e dello zolfo di recupero dal gas metano), suscitò pesanti critiche per lo sciacallaggio operato da funzionari corrotti e legati da rapporti clientelari a potentati politici.

Si preparava la liquidazione del settore minerario zolfifero ed agli operai fu offerta la possibilità di lasciare il posto di lavoro usufruendo di una proposta allettante: indennità di liquidazione computata sulla base degli anni di lavoro effettivamente prestati, più indennità aggiuntiva speciale calcolata su ulteriori 10 anni di servizio, comprensivi di tredicesima e quattordicesima mensilità, ai fini dei contributi pensionistici, mentre ai fini della buonuscita l’indennità speciale veniva calcolata su 5 anni di servizio. Si scatenò la corsa al pensionamento: nel 1968 furono liquidate le indennità di pensionamento a 3.700 minatori.

La liquidazione del settore zolfifero siciliano avvenne, così, in maniera tale da non essere lesiva per quelli che vi lavoravano, ai quali fu garantito un reddito previdenziale sufficiente per vivere dignitosamente.

Paradossalmente, mentre si preparava la liquidazione del settore minerario zolfifero e si chiudevano sempre altre miniere (ne erano rimaste aperte 13), l’E.M.S. e la SO.CHI.MI.SI. operavano di continuo assunzioni di dirigenti pagati fior di milioni e acquistavano, soprattutto in Germania, costosi macchinari, che rimanevano inutilizzati ad arrugginirsi nei capannoni delle miniere, come emblematico monumento allo spreco del pubblico denaro.

Nel 1975 rimanevano aperte soltanto 4 miniere, che venivano chiuse dopo qualche anno. L’irresponsabilità dell’operato dell’E.M.S., che scaricava le responsabilità sulla SO.CHI.MI.SI., diede luogo all’emissione di tre mandati di cattura da parte della magistratura nei confronti del presidente, del direttore generale e del responsabile amministrativo dell’E.M.S. Calava, così, il sipario sull’industria zolfifera siciliana, che, pur avendo espresso caratteristiche di dinamicità sociale e di volontà di rinnovamento industriale, nella dialettica tra nuovi industriali e conservatori aveva visto prevalere i secondi, pur presentando aree di alta tecnologia industriale.

La storia dell’industria zolfifera del XIX sec. e della prima metà del XX sec. è una storia di occasioni mancate, perchè i provvedimenti governativi in ordine ad una indispensabile riorganizzazione del settore furono sempre tardivi e comunque condizionati dalla salvaguardia dei diritti precostituiti delle classi conservatrici isolane.

La civiltà dello zolfo ha lasciato in Sicilia un consistente patrimonio storico-culturale; oggi si vuole recuperarlo e valorizzarlo ai fini museali e turistici, ed a tal fine operano di concerto le Sovrintendenze ai Beni Culturali di Caltanissetta, Enna, Agrigento.

A Caltanissetta si è costituita l’Associazione Amici della Miniera, che, in collaborazione con l’amministrazione comunale di Caltanissetta, opera anch’essa in tal senso.