Il 1600 ebbe inizio con il Maqueda (1598-1601) nella carica di vicerè di Sicilia.

Il quadro sociale che gli si presentava vedeva una classe baronale che, pur rivendicando la tradizione autonomistica del regno di Sicilia, non riusciva ad esprimere vigore politico e culturale, anche perchè si rifiutava di coinvolgere nelle rivendicazioni "nazionali" una piu’ vasta area sociale nel timore di mettere a rischio privilegi tradizionali. Eppure la bancarotta statale e la crisi politica e finanziaria le offriva l’occasione di impadronirsi degli strumenti pubblici del potere. Il paese si presentava fiaccato per lo sfruttamento della campagna, peraltro spopolata, da parte della città, dal contrasto tra la Sicilia costiera e quella interna, dalle lotte municipalistiche. Era un modello di società che aveva rinunziato ad esprimere alti ideali e che viveva nella mediocrità di una stanchezza rassegnata.

La classe nobiliare, dopo aver visto vanificarsi le prospettive nazionali, cercava un inserimento gratificante nella corte spagnola, ed il re largheggiava in titoli ed onorificenze, che da un lato davano maggiore lustro alla vecchia nobiltà terriera, dall’altro consolidavano la posizione della nuova nobiltà degli uffici e delle finanze. Era assai alto il numero di aristocratici, ufficiali, letterati, avventurieri, che si trasferivano nella capitale spagnola per trascorrervi lunghi periodi e rendersi partecipi del processo di rinnovamento e di ripresa della monarchia spagnola, della cui decadenza erano consapevoli, ma, lungi dall’incoraggiare le tendenze centrifughe, essi cercavano di raccogliere i consensi di città e ceti subalterni attorno ad essa.

Assumeva sempre maggiore importanza, accanto a quella del vicerè, la figura del consultore, magistrato supremo, che aveva il compito di suggerire al vicerè le iniziative che era opportuno intraprendere in tema di governo del regno, amministrazione della giustizia, gestione del patrimonio regio, organizzazione della milizia del regno.