Nell’ottobre del 1814 ebbe inizio la terza legislatura che vedeva in parlamento alla Camera dei comuni una maggioranza costituita da costituzionali belmontisti e democratici, con prevalenza di questi ultimi, ma il re Ferdinando non era interessato alla Costituzione, ma era interessato a riconquistare il regno di Napoli e quindi a conservare il consenso dei Siciliani.

Nell’ottobre del 1814 ebbe inizio la terza legislatura (ottobre 1814-maggio 1815), che vedeva in parlamento alla Camera dei comuni una maggioranza costituita da costituzionali belmontisti e democratici, con prevalenza di questi ultimi. Si riaffacciarono i fautori dell’assolutismo, con largo seguito nella Camera dei pari, mentre scomparvero del tutto i costituzionali castelnovisti, accomunati nell’odio riservato agli Inglesi. In parlamento si intrecciarono tentativi per costituire un’intesa tra le due Camere, indispensabile per procedere nell’attività legislativa, ma era anche indispensabile, perchè questo si realizzasse, la collaborazione del governo, e quindi del re, capo dell’esecutivo. Ferdinando non era affatto interessato al rispetto della Costituzione, ma era, invece, interessato a riconquistare il regno di Napoli e quindi a conservare il consenso dei Siciliani, per riaffermare il suo ruolo di fronte agli alleati inglesi.

Re Ferdinando, quindi, nei primi mesi del 1815 si manifestò favorevole ad una revisione della Costituzione, per avvicinarla al modello francese, ma non alla sua abrogazione. Interlocutore segreto del re fu il principe di Castelnuovo, ritornato alla ribalta della politica a titolo personale, che, insieme al sovrano, doveva concertare il varo di una nuova Costituzionale "octroyèe" (concessa dal sovrano), al posto di quella votata dal parlamento nel 1812. Qualcosa trapelò di questi incontri e soprattutto i democratici temettero il ritorno alla ribalta del Castelnuovo e ne denunciarono il pericolo. Il parlamento in questi frangenti avrebbe dovuto cercare un punto d’accordo tra le varie forze per difendere la Costituzione del 1812, ma solo i democratici cercarono di operare in tal senso, mentre la Camera dei pari, con irresponsabile miopia politica, si adoperò esclusivamente per boicottare l’attività della Camera dei comuni, perdendo di vista l’obiettivo primario, che era quello della difesa della Costituzione.

Con la caduta di Napoleone, e quindi di Gioacchino Murat, i Borboni divennero i legittimi pretendenti al trono di Napoli, che Ferdinando si affrettò a riconquistare con l’aiuto degli Austriaci, che lo liberavano dalla necessità di dipendere dagli Inglesi; chiese anche l’aiuto dei Siciliani, che non furono pronti a darlo perchè impegnati in una lotta parlamentare, che vedeva la Camera dei Comuni in conflitto con l’esecutivo. Il re non volle impiegare la forza, per non impelagarsi in un conflitto che lo avrebbe distolto dalla riconquista di Napoli, e si limitò a chiudere la sessione parlamentare e a dare incarico ad una commissione composta da 18 elementi appartenenti alle due Camere di redigere una nuova carta costituzionale secondo le sue direttive contenute nelle "Istruzioni".

Il parlamento non fu più riconvocato e i lavori della commissione non ebbero mai inizio, non tanto per volere del re Ferdinando, ma piuttosto per l’incapacità dei Siciliani di trovare un accordo sulla linea politica da seguirsi. L’8 dicembre 1816 fu proclamata la fusione dei regni di Napoli e di Sicilia nel Regno delle Due Sicilie, il re, fino a quel momento Ferdinando IV di Napoli e III di Sicilia, divenne Ferdinando I, re delle Due Sicilie, scardinando completamente il riconoscimento dell’isola come regno separato. L’istituto parlamentare siciliano non fu formalmente soppresso e venne mantenuta anche l’abolizione della feudalità, che rispondeva pienamente alle condizioni storiche della società siciliana. Un ripristino del parlamento nella forma prevista dalla Costituzione del 1812 non fu, invece, mai chiesto dai Siciliani, che durante la rivoluzione del 1820-’21 adotteranno la Costituzione di Spagna.