Analogo andamento della privatizzazione dei beni demaniali ebbe la vendita dei beni ecclesiastici prevista dalla legge del 1792.

Sotto il Caracciolo la quotizzazione delle terre dell’ex-chiesa della Magione era stata disposta totalmente a favore dei contadini e l’attuazione della spartizione, avvenuta dopo la sua morte, non potè stravolgere completamente il provvedimento, ma solo ritoccarlo, sicchè le terre non andarono tutte ai contadini, ma solo l’80% di esse,mentre il 20% andò a nobili e borghesi. L’abolizione del Santo Uffizio, l’espulsione della Compagnia di Gesù, la soppressione dell’arcivescovato di Monreale, la secolarizzazione della badia di S. Maria dell’Altofonte, la soppressione di numerosi conventi e monasteri ebbero importanti riflessi sulla politica economica e finanziaria dello stato, costituendo un volume consistente di nuove entrate, che andavano ad impinguare il suo bilancio sino ad arrivare ad un gettito annuo di 270.000 scudi, pari al 70% del bilancio ordinario dell’amministrazione siciliana. L’alienazione di queste terre doveva conservare allo stato, o addirittura incrementare, le entrate extrabilancio che esse gli garantivano.

La legge del 1792 era di genere diverso dalle precedenti disposizioni in materia, che si erano limitate ad acquisire al demanio le rendite di singole chiese. Essa disponeva la totale alienazione del patrimonio ecclesiastico, ma, nonostante la sua portata rivoluzionaria, non incontrò opposizioni nè nella Curia romana, nè nella Chiesa siciliana. Il provvedimento, in apparenza rivoluzionario, rientrava nello spirito riformista moderato promosso dal baronaggio, che fu il beneficiario dell’operazione. Da parte del re questo era un modo per riconciliarsi con i baroni ed averne l’appoggio, a spese della Chiesa, nel momento in cui incombeva il pericolo della rivoluzione. La Chiesa, d’altronde, ne fu solo in parte danneggiata, perchè il clero potè riavere parte di questi beni in enfiteusi, garantendosi una cospicua rendita fondiaria; perdeva, quindi, soltanto il potere religioso, ma diventava titolare di nuovi privilegi in linea con il processo di ristrutturazione produttiva fondiaria.

Il volume delle terre ecclesiastiche alienate dopo il 1792 fu di circa un milione di onze, con una superficie di circa 50.000 ettari, che, uniti a quelli tolti ai gesuiti, raggiungevano i 100.000 ettari, 20.000 in più delle terre comunali alienate. Anche queste terre si concentrarono nelle mani di grossi proprietari appartenenti alla classe nobiliare ed a quella borghese; tra i beneficiari troviamo anche inglesi, che sempre più erano presenti nelle vicende politiche ed economiche isolane.