L’interesse del governo nei confronti dell’industria zolfifera siciliana si concretizzò in un disegno di legge per la riforma del Consorzio, presentato dal ministro di Agricoltura, Industria e Commercio Cocco Ortu il 15 luglio 1909 e convertito nella legge 30 giugno 1910 n. 361

Macchinario abbandonato della miniera Gessolungo di Caltanissetta

Macchinario che veniva usato durante la lavorazione dello zolfo – Foto di Vincenzo Santoro

Essa rivestì una grande importanza nella vita del Consorzio, perchè, pur lasciandogli la fisionomia originaria, ne adeguò l’organizzazione alle condizioni del mercato alla luce dell’esperienza di tre anni di regime consortile.

Allo scopo di ammortizzare lo stock invenduto ponendo un freno alla produzione, la legge stabiliva l’adozione di nuove modalità per la determinazione del valore da segnare sulle "fedi di deposito", si doveva, cioè, dividere il presunto ricavato della vendita dell’annata per il numero delle tonnellate di zolfo che, secondo le previsioni più attendibili, sarebbero state consegnate al Consorzio, e detrarre dal prezzo così determinato il nolo ferroviario e le altre spese consorziali.

Questo sistema poneva un freno di tipo finanziario alla produzione, perchè un aumento della eccedenza produttiva avrebbe automaticamente abbassato il prezzo corrisposto ai consorziati, mentre gli istituti di credito non correvano più il rischio di scontare "fedi di deposito" per somme superiori a quelle delle vendite effettive. La stessa legge emanò altre proficue disposizioni che riorganizzarono il settore amministrativo ed il settore produttivo, oltre a quello commerciale, ma restava sempre da correggere il più grave difetto dell’industria zolfifera siciliana, cioè il regime fondiario, che impediva una sana organizzazione industriale.

La disposizione contenuta nell’art. 7 della legge, che stabiliva che l’apertura di nuove zolfare nell’isola doveva essere concessa soltanto "a coloro che dimostrino di avere i mezzi finanziari occorrenti per una razionale lavorazione della zolfara e provvedano ad un’adeguata direzione tecnica", aveva efficacia assai limitata, perchè si riferiva soltanto alle miniere da aprire e prevedeva un generico controllo dello Stato, senza modificare i rapporti giuridici esistenti. Nonostante le sue pecche la legge produsse benefici effetti, tanto che si raggiunse l’equilibrio tra consumo e produzione e si ricominciò a corrispondere ai consorziati l’anticipazione non decurtata sulla "fede di deposito".

Questo equilibrio non era, però, soltanto frutto di autoregolamentazione, ma manifestazione di uno stato di disagio della produzione zolfifera, che era in continua diminuzione a causa dell’approfondirsi dei livelli di lavorazione dei giacimenti, che ne rendevano più costoso lo sfruttamento.

I costi di produzione erano, talvolta, così elevati da non renderne conveniente lo sfruttamento, tanto più che, data la breve durata dei contratti di gabella (20 anni circa), le attrezzature tecniche erano commisurate alla durata della gabella e non all’entità dei giacimenti, sicchè talvolta, per continuare lo sfruttamento, occorrevano forti spese, che non sarebbero state coperte dai ricavi.

Con la legge 10 novembre 1907 n. 818 sul lavoro delle donne e dei fanciulli i "carusi" non potevano essere ammessi a lavorare nelle miniere prima di aver compiuto 14 anni e di avere conseguito la licenza elementare. Questa disposizione faceva sì che i genitori avviassero i ragazzi ad altri mestieri, per farli guadagnare presto, sicchè non solo veniva meno il lavoro dei "carusi" inferiori a 14 anni (circa 200 l’anno), ma sarebbe venuta meno per l’avvenire la formazione dei picconieri, che provenivano dai ranghi dei "carusi".

La minore offerta determinò l’aumento del costo della manodopera, che fu concomitante all’aumento di quello delle materie prime occorrenti per l’esercizio delle miniere. Un aumento del prezzo dello zolfo avrebbe potuto ridare impulso all’industria zolfifera, ma questa soluzione non era praticabile, perchè si era ripresentata la concorrenza americana, dal momento che negli USA la "Union Sulphur Company" aveva denunciato l’accordo con il Consorzio, perchè contrario alle disposizioni della legge Wilson del 1913, emanata contro le coalizioni commerciali ed industriali.

Vero è che lo zolfo americano, per la sua vischiosità, era inadatto agli usi agricoli, se non con una spesa di circa 2 franchi al quintale, mentre lo zolfo siciliano veniva impiegato soprattutto in agricoltura; se a questo si aggiungono i noli per trasportarlo dall’America in Europa, i costi di produzione rendevano difficilmente attuabile una vendita al ribasso dello zolfo americano in concorrenza con la Sicilia. La minaccia della concorrenza americana era, comunque, presente.

La soluzione del problema giunse inattesa quando lo scoppio della prima guerra mondiale determinò la crescita del consumo interno di zolfo negli USA per la fabbricazione di esplosivi e la conseguente riduzione delle esportazioni in Europa. Gli alti noli, inoltre, e le misure protezionistiche degli stati belligeranti fecero cessare del tutto le esportazioni dello zolfo americano, mentre crebbe la domanda per usi bellici. I prezzi salirono progressivamente da 100 lire a tonnellata nel 1914 a 431 nel 1918.

Malgrado ciò la produzione continuò a scendere in dipendenza dell’approfondirsi dei livelli di lavorazione e della carenza di manodopera a causa della guerra, nè valsero ad incrementarla i profitti derivanti dal forte aumento della domanda di zolfo e dal conseguente aumento del prezzo, dal momento che non furono reinvestiti nel miglioramento tecnologico delle miniere. Giunse a conclusione in questo periodo la questione dei magazzini generali, che il Consorzio avrebbe dovuto istituire secondo le disposizioni della legge 15 luglio 1906. La Banca Commerciale aveva presentato la sua offerta per la gestione dei magazzini generali ed in essa era prevista una certa somma da investire nel miglioramento dei mezzi di imbarco e di deposito.

Le pressioni esercitate dai magazzinieri fecero sì che si giunse ad una soluzione di compromesso: il Consorzio il 1º agosto 1913 diede inizio alla gestione diretta dei magazzini generali servendosi di quelli degli antichi magazzinieri, con i quali stipulò contratti che regolamentavano la discarica dello zolfo dai vagoni, il trasporto nei magazzini, la caricazione a bordo delle navi. Nessuna innovazione venne fatta, se non molto più tardi, sui mezzi di caricazione e di deposito.

Quando il Consorzio sarà sciolto nel 1932, i depositi di zolfo passeranno al Consorzio per i Magazzini Generali, di cui continuerà a servirsi l’Ufficio Vendite prima e l’Ente Zolfi Italiani in un secondo tempo.