Le vicende dell’industria zolfifera siciliana durante il periodo del Consorzio ci mostrano quali fossero i suoi difetti e in che misura il Consorzio vi abbia posto rimedio.

Locali abbandonati e vandalizzati della miniera Gessolungo a Caltanissetta

La miniera di Gessolungo a Caltanissetta versa ormai in tristi condizioni di abbandono – Foto di Vincenzo Santoro

Il difetto principale dell’industria zolfifera siciliana era nel regime fondiario, da cui derivava un’insana organizzazione industriale, infatti i proprietari siciliani, tradizionalmente assenteisti, non si curarono quasi mai di sfruttare direttamente il sottosuolo zolfifero, ma ne fecero oggetto di speculazione con il contratto di gabella, che riusciva assolutamente vantaggioso per il proprietario, che, pur non rischiando nulla, aveva una rendita sicura. Il contratto di gabella non era altrettanto vantaggioso per l’esercente, data l’aleatorietà dell’impresa mineraria zolfifera e le oscillazioni del mercato dello zolfo.

L’organizzazione industriale difettosa andava a tutto discapito dell’attrezzatura tecnica delle miniere, dato che i contratti di gabella avevano breve durata ed il gabelloto aveva interesse ad estrarre la maggiore quantità possibile di zolfo con la minore spesa. Anche nei periodi più floridi per l’industria zolfifera, come ad esempio il periodo bellico, gli esercenti non reinvestirono mai i loro profitti, ma seguirono sempre la politica di non fare miglioramenti tecnologici nei periodi di alti profitti e di ricorrere, invece, allo Stato nei periodi di crisi.

Essendo le attrezzature arretrate, i costi di produzione erano elevati e non consentivano di sostenere la concorrenza. Non soltanto l’organizzazione produttiva, ma anche quella commerciale era difettosa. La presenza di speculatori, quali magazzinieri, sensali, sborsanti, esportatori, dissanguava specialmente piccoli e medi industriali, che non avevano nè capitali, nè magazzini propri.

L’istituzione del Consorzio obbligatorio si rivelò benefica per l’industria zolfifera, ma esso, risanando soltanto l’organizzazione commerciale, ma non quella produttiva, pose rimedio solo ad una parte dei mali che la affliggevano. Per risanare l’organizzazione produttiva bisognava partire, innanzitutto, dalla riforma del diritto minerario con l’abolizione del regime fondiario (furono presentati ben 22 disegni di legge in tal senso dal 1862 al 1924), ma quando essa fu attuata, dopo molte aspettative, nel 1927, si rivelò insufficiente allo scopo.Le vicende del Consorzio furono, inoltre, tutte legate a quelle della concorrenza americana, che solo in regime consortile fu possibile fronteggiare con il raggiungimento di accordi.

Un altro grave difetto dell’industria zolfifera siciliana era la mancanza di integrazione verticale con l’industria della raffinazione, che avrebbe reso meno temibile la concorrenza (l’America vendeva soltanto zolfi grezzi) e avrebbe integrato gli utili dei consorziati. Soltanto nel 1925 fu consentito al Consorzio di raffinare gli zolfi, ma da questa possibilità non riuscì a trarre tutti i possibili benefici per l’influenza che i raffinatori riuscirono sempre ad esercitare in seno agli ambienti ministeriali ed in seno allo stesso Consorzio, dal momento che consorziati erano tutti i possessori di zolfo, anche se non ne erano produttori, ed i raffinatori avevano modo, nonostante l’esplicito divieto di legge, di introdursi nel consiglio di amministrazione e difendere gli interessi di categoria.

Nonostante tutto il Consorzio ebbe il merito di risanare il commercio dello zolfo mercè una migliore organizzazione e mercè accordi con la concorrenza americana; garantì ai produttori una certa stabilità dei prezzi; smaltì lo stock ereditato dall’ "Anglo Sicilian", evitando una grave crisi; rese possibile nei momenti di crisi il finanziamento dell’industria.

La sua opera, ostacolata da diverse difficoltà (carenza di capitali, contrasti tra province, contrasti tra produttori e raffinatori, concorrenza americana), si rivelò proficua sotto l’aspetto commerciale in relazione alla organizzazione produttiva esistente, anche se il Consorzio fece, talvolta, prevalere interessi che non erano quelli dei consorziati stessi, come nella questione dei magazzini generali.

Il Consorzio non potè, però, migliorare di molto le condizioni dell’industria zolfifera, perchè dovette continuamente subire i contraccolpi di una organizzazione produttiva difettosa e quanto mai vulnerabile, perchè non regolata da alcun organismo efficiente.

Il difetto principale del Consorzio fu, dunque, la limitazione della sua funzione al settore commerciale, mentre l’industria zolfifera aveva bisogno di un riassetto organico. Lo scioglimento del Consorzio non fu, però, determinato dal riconoscimento di questa sua incompletezza, ma da vicende contingenti e dai presupposti ideologici e programmatici del regime fascista, che voleva attuare il programma delle corporazioni.

L’esperimento in sè non era, però, fallito, lo era, semmai, il modo in cui era stato realizzato, ed è una prova di questa affermazione il fatto che si ritornerà ad un regime vincolistico, questa volta esteso a tutta l’industria zolfifera italiana, pochi anni dopo lo scioglimento del Consorzio.